Itinerario formativo GFAM 2015-16

PARROCCHIA SACRA FAMIGLIA IN ROGOREDO

GRUPPO FAMIGLIE PARROCCHIALE  -  16  aprile 2016   

V INCONTRO : il desiderio di essere saziati – Mt 14,13-22

 

P.: Nel nome del Padre... 
Chiediamo al Signore che ci insegni a pregare:
 
Donami, o Signore,
la capacità di condividere
anche quel poco che a me sembra insignificante
perché nelle tue mani
possa diventare molto!
 
Preghiamo a cori alterni il Salmo 23 (22)
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
 
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
 
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
 
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

 

Ascoltiamo la Parola di Dio ( Mt 14,13-22 )

"Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

 

COMMENTO BIBLICO … per entrare nel testo

La Moltiplicazione dei pani è un miracolo notissimo quindi potrebbe sembrare un po’ scontato mentre invece si presenta  ricco di messaggi anche per la vita familiare. Lo troviamo in tutti gli evangelisti, con sottolineature particolari (Mt 14,13-21; 15,32-38; Mc 6,31-44; Le 9,10-17; Gv 6,1-13). Il  racconto  secondo Matteo si può riassumere nel titolo: Gesù risana e nutre il popolo nel deserto.

v.13 Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. L'introduzione collega questo con il brano precedente e crea il contesto per l'incontro con la folla. Che cosa ha saputo Gesù? I discepoli del Battista lo hanno informato dell'uccisione del loro maestro da parte di Erode (14,12). Così Gesù si ritira in un luogo deserto. Matteo crea in questo modo la composizione di luogo sia geografica sia emotiva: c'è un clima di pericolo che incombe anche su Gesù. Ciononostante la folla lo segue, persino in un luogo deserto. Questa particolare situazione da un lato evidenzia il desiderio della gente, la forza della sua ricerca. Dall'altro, prepara alla poca ospitalità del luogo e permette a Matteo, che scrive per i cristiani provenienti dal giudaismo, di rievocare il contesto delle grandi opere di Dio nell'Antico Testamento. Il primo quadro è cosi dominato dall'incontro tra quelle folle e Gesù che, spinto dalla compassione, si mette a guarire i malati.

 

14 Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Nel racconto è centrale la compassione di Gesù: tutto parte dal movimento del suo cuore, anzi da una spinta che viene descritta con le parole che indicano le viscere materne. Un modo molto plastico per descrivere fino a che punto il cuore di Dio si lascia toccare dalla vista degli uomini e delle donne, tutti figlie e figli suoi. Nonostante la minaccia incombente anche su di Lui — Giovanni Battista è appena stato assassinato — Gesù vede i loro bisogni e se ne prende cura, a partire da quelli più immediati e concreti: salute e cibo, i bisogni primari. Il Signore vede, si accorge della gente e si lascia toccare dalle sue richieste, mettendosi in gioco. Tuttavia, la guarigione è solo il primo gesto di salvezza che prepara quello centrale dei pani. Progressivamente, Matteo presenta Gesù come il profeta misericordioso che risana e nutre il popolo nel deserto.

 

15 Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Nel secondo momento entrano in scena i discepoli che sollecitano il maestro a congedare la folla, perché si procuri i viveri necessari. A loro modo anch'essi intendono occuparsi della folla, sottolineando la duplice inospitalità del posto: è tardi e sono nel deserto. Gesù, al contrario, inizia un dialogo coi discepoli, nell'intento di coinvolgerli sempre più, in prima persona, nella sua cura delle folle.

 

16-17 Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gesù fa appello direttamente ai suoi, smonta il loro tentativo di soluzione e chiede loro di risolvere il problema, li pone così di fronte alla loro diretta responsabilità. La provocazione porta i discepoli a confessare la loro inadeguatezza: Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci! C'è un'enorme sproporzione tra il bisogno della gente e le loro forze, la constatazione è realista. Eppure Gesù non si ferma alle misurazioni umane. Con decisione ordina: Portatemeli qui. Non sta a discutere, parte da ciò che hanno e lo accoglie, anzi chiede di affidarlo a Lui. Non chiede oltre le loro possibilità ma cerca semplicemente la loro collaborazione.

 

v.19a E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione...

Più che la straordinarietà di un miracolo, Matteo è preoccupato di descrivere l'autorevolezza di Gesù — che è seduto sul monte, come Mosè, e fa sedere le folle sull'erba — e concreto della folla: lo vede e, senza neppure che sia richiesto si preoccupa della fame della gente. Ma non è solo questo. A che ai meno esperti, il racconto evoca risonanze antiche. Infatti Matteo evoca celebri rimandi biblici: Mosè che sfama il popolo  nel deserto (Es 16, 3-4) ed Elia che nutre cento persone cc soli venti pani d'orzo (2Re 4,42-43). Su questo sfondo anticotestamentario, l'episodio appare una solenne inaugurazione dei tempi messianici, ossia del Regno di Dio: ne sono segno sovrabbondanza dei doni di Dio e la gioia del banchetto che L stesso prepara per i suoi. Il pasto imbandito esprime la volontà di comunione da parte di Dio. All'interno di questo gesto cura — Gesù che sfama la folla — spicca in maniera indisgiungibile il duplice valore dei cinque gesti sul pane: quello immediato che sazia la fame delle persone e il significato eucaristico tessuto con discrezione e per allusioni. La notazione cronologica unisce la cena eucaristica del giovedì santo con il gesto compiuto nel deserto: “Venuta la sera” : il particolare del mettere a sedere la folla richiama l'atto di adagiarsi a mensa; infine Matteo fa scomparire i due pesci dalla scena  parlando solo di pane. Molti sono i particolari che alimentano l'accostamento delle due scene. Ma, soprattutto, in tutte e due le sequenze tornano i quattro verbi fondamentali che definiscono la struttura delle benedizioni ebraiche (berakót) in occasione del pasto ebraico della vigila di Shabath detto Birkat-a-mason ( benedizione sul pane ): «prendere, benedire, spezzare e dare». Ecco dunque la profondità del messaggio: aldilà della sorpresa per una folla straordinariamente saziata, si rivela la cura misericordiosa Gesù, il profeta perseguitato che realizza le attese antiche del popolo, nutrendo la folla in tutti i suoi bisogni (salute, vita, amore) e inaugurando i tempi messianici con il banchetto comunione che Dio allestisce con l'umanità, a partire da quel più diseredata e povera.

v.19b. Spezzò i pani, li diede ai discepoli e i discepoli alla folla.

Il maestro non si sostituisce i discepoli, chiede la collaborazione e poi dà la capacità di compiere ciò che ha richiesto. Qui ci viene presentato il senso autentico della chiesa e la modalità  del suo agire che coinvolge anche l’agire delle famiglie chiamate a “dare” quel pane spezzato da Gesù che non arriva magicamente a sfamare nessuno se non viene “distribuito” dai “suoi”.   

  1. 20-21 tutti mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Il commento conclusivo sottolinea la sovrabbondanza del cibo messo a disposizione di una folla numerosa. Ciò corrisponde alla tradizione biblica (Es 16,12; Sal 78,29) ed è nota distintiva della sovrabbondanza dei doni di Dio, propri del tempo messianico (Sal 22,27; 132,15; Gr 31,14). Anche la cifra 'dodici' ha un valore messianico: le dodici ceste sono da mettere in relazione con il gruppo dei dodici discepoli di Gesù, a loro volta pensati in rapporto alle dodici tribù di Israele, come nucleo originario del nuovo popolo messianico convocato attorno a Gesù. Il numero di cinquemila uomini serve a dare risalto al gesto misericordioso di Gesù. L'esclusione delle donne e dei bambini corrisponde al modo giudaico di contare i partecipanti al culto sinagogale: ma anche questi esclusi sono destinatari del gesto benefico di Gesù.

 

PER AIUTARE LA RIFLESSIONE DI COPPIA

La moltiplicazione dei pani non è il più sorprendente dei miracoli di Gesù, ma certo si presta a essere una chiave sintetica per interpretare tutti gli altri miracoli. Infatti, nonostante l'eccezionalità dell'evento, il vangelo insiste soprattutto sul messaggio che trasmette: la rivelazione di Gesù come il Messia misericordioso che si prende cura della folla, sfamando tutti i suoi bisogni. La narrazione intende dunque mostrare chi è Lui nei nostri confronti e come risponde al bisogno di ciascuno di noi. Come Gesù sfama il desiderio dell'uomo?

Il racconto di questo 'miracolo' propone almeno tre modi: con la Parola (la premessa era che Gesù parla alla folla del cibo (il Signore si prende cura del corpo della gente: guarisce i malati e, semplicemente, si preoccupa che mangino), infine con l'eucaristia, nutrimento per lo spirito e risposta al bisogno di vita piena. Anche questo non è un miracolo che intende suscitare lo stupore sul 'potere' di Gesù, piuttosto rivela la cura concreta e globale che Gesù ha per ogni essere umano: Lui sa tutto ciò di cui abbiamo bisogno e ci nutre.

 

Si ritirò in un luogo deserto. Non è mai casuale la composizione di luogo che il vangelo ci propone. Gesù, il Figlio di Dio, intenzionalmente sceglie di ritirarsi in disparte, in un luogo deserto proprio in un momento trepido della sua vita, coi rischi che si fanno più evidenti attorno a lui. Non è in fuga. Al contrario, proprio per curare meglio la sua missione e per rispondere ai bisogni della gente, Gesù sapeva scegliere e fermarsi nei luoghi adatti. Ciò richiama anche noi a trovare momenti di 'deserto' in cui stare con il Signore, pur nei frenetici ritmi di vita quotidiana. È essenziale trovare spazi per stare individualmente con il Padre e altri in cui starci come coppia; anche solo dedicandosi del tempo l'un l'altra si è, in realtà, 'intrecciati' con Gesù! Inoltre, è importante valorizzare momenti di confronto e dialogo in coppia; almeno qualche volta occorre stare proprio soli, in due, senza figli. Magari sarebbe bello in qualche luogo che può favorire anche un po' di meditazione.

 

Sentì compassione per loro.

La moltiplicazione dei pani parte dallo sguardo di Gesù, dalla sua capacità di vedere il bisogno e farsi raggiungere dalla sofferenza dell'altro (il mio coniuge, mio fratello, ecc.). Gesù vive la compassione ossia si lascia toccare e scomodare; 'sente' il dolore dell'altro come proprio. In fondo è un gesto delicato, quotidiano, ma che ha bisogno di essere rinnovato continuamente anche in famiglia. In qualche modo occorre imparare a vedere oltre se stessi, a riconoscere i bisogni dell'altro/a. È il passo preliminare per rispondere al desiderio di amore che ciascuno porta in sé. La cura di Gesù è molto concreta: non è fatta di sole parole e non è nemmeno troppo 'spirituale'. Parte dalla cura del corpo, dai bisogni elementari come per lo più accade in tutte le famiglie: il vangelo mostra quanto l'agire di Gesù sia intessuto di quotidianità. Il prendersi cura l'uno dell'altro, in famiglia, il pensare al nutrimento e all'accudimento reciproco sono un prolungamento dello stile di Gesù. Il vangelo parte da una risposta ai bisogni umani fatta di gesti concreti e familiari: dar da bere, nutrire, vestire, curare, visitare... Come più avanti elencherà nella parabola del cosiddetto 'giudizio finale' (Mt 25). Accanto a questo non si trascuri che Gesù risponde alla folla che lo segue anche dedicando molto tempo all'annuncio. Lo testimoniano molti altri episodi del vangelo (ad es. Mt 5,1) e anche alcuni racconti paralleli di questo brano. In altri termini, pure la Parola di Gesù è nutrimento per il cuore dell'uomo. Al termine di questo anno di incontri questa parola suona come un invito concreto a verificare quanto l'ascolto del suo vangelo sia stato per ciascuno di noi luogo di nutrimento e risposta ai bisogni e ai desideri più profondi della nostra vita. Sarà poi motivo di gratitudine fare memoria di quelle Parole di Gesù che ci hanno accompagnato.

 

«Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!»: la povertà dei mezzi. Quante volte avviene nella nostra vita che vediamo i bisogni, ne siamo sinceramente toccati, ma non sappiamo cosa fare! Un sano realismo ci fa toccare l'inadeguatezza dei nostri mezzi e la sproporzione delle forze. Come i discepoli, anche noi a volte siamo presi dall'ansia del domani, dalle preoccupazioni per le risposte concrete...: Ormai è tardi,. congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare. Quanti nostri tentativi di soluzione sono dettati da calcoli e da criteri di prudenza o addirittura divengono fughe, che vorrebbero sollevarci da una responsabilità diretta, rimandando ad altri. Questi nostri tentativi suonano come uno sbrigativo: "congeda la folla perché vada... e si arrangi". Dopo un'intensa giornata (di lavoro, di impegni, etc.) è più facile mettersi sul divano delle fatiche e delle gioie di coniuge e figli, e fermarsi a condividerle. Pur nella stanchezza che ci appesantisce sarebbe tuttavia importante anche solo poter ammettere l'uno con l'altra la propria debolezza, il senso di inadeguatezza o il non sapere come fare che, a volte, ci lascia sconsolati: non abbiamo altro che cinque pani e due pesci. Gesù ci dà un esempio di come stare di fronte alla sproporzione di questa povertà. Anzitutto, sa valorizzare ciascuno per quel che ha: voi stessi date loro da mangiare. Dà un incarico, affida ai discepoli una responsabilità al punto tale da lasciarli increduli: Non abbiamo altro che... Quanto somiglia alle nostre reazioni quando siamo chiamati a fare qualcosa: "Io? Ma come? Io nel matrimonio dovrei essere riflesso del Suo Amore? Ma se non ho altro che le mie imperfezioni...; anche insieme siamo poco (5 pani e 2 pesci)...".  Qui tocchiamo con mano la fiducia che Dio ripone in noi, dandoci un simile compito. La risposta di Gesù di fronte alle poche vivande dei discepoli ci insegna un'accoglienza incondizionata. Non conta la quantità, il condividere il poco, anche il poco che si è in una data situazione, permette a Lui di farlo bastare per tutti. Questo è il vero miracolo che testimonia anche Paolo: «Ti basta la mia Grazia. La mia potenza si manifesta appieno nella tua debolezza» (2Cor 12). Anche il nostro amore di sposi, messo nelle mani di Dio, si moltiplica e può diventare riflesso del Suo amore, e trasformare la debolezza in forza. Gesù sfama ultimamente il desiderio dell'uomo con un banchetto che ha risonanze eucaristiche, ma che primariamente è un pasto. La Bibbia ci insegna a valorizzare questo gesto così quotidiano: mangiare insieme tra le persone non è mai solo un tempo per cibarsi, ma un'occasione per incontrare l'altro. Il pasto è momento di comunione, una pausa in cui si sta e si condivide. Il Signore non chiede opere difficili quanto piuttosto di riscoprire il tesoro racchiuso già nei gesti quotidiani. Allora possiamo apprezzare il valore ulteriore dischiuso dagli stessi gesti che Gesù compie che diventano per noi  il segno eloquente del suo condividere tutto, a partire da se stesso. Ripetere il gesto di Gesù non è semplicemente “ fare “ un rito ma è l'avvio di un cammino di dono e di condivisione: del pane, dei beni materiali, delle nostre capacità, tempo, così come ha fatto Lui…” Fate questo in memoria ( cioè “come ho fatto io” ) di me”. 

 

Tutti mangiarono a sazietà. Gesù sazia il desiderio di tutti i suoi figli, parte dai bisogni del corpo per saziare quello di amore, di incontro, di riconoscimento presente nella profondità del nostro cuore: di amore viviamo, gioiamo e gustiamo la vita, di mancanza di amore soffriamo e moriamo. Sentire la sua presenza, nutrirsi del suo pane, ci fa capaci di donare attenzioni e cura, ascolto e perdono a tutti coloro che incontriamo. Per questo chiede anche a noi di diventare cibo buono per gli altri e di farci tramite del pane/amore che lui stesso ci dona. Tanto più in famiglia, luogo della dedizione e della cura per eccellenza, luogo in cui il pane dell'amore del Signore diventa vita nei figli, nella relazione tra gli sposi, nell'apertura a chi è nel bisogno.

PARROCCHIA SACRA FAMIGLIA IN ROGOREDO

GRUPPO FAMIGLIE PARROCCHIALE  - 12 marzo 2016   

IV INCONTRO : il desiderio di UMANITA’ – Mc 9,14-27

 

P.: Nel nome del Padre...

 Chiediamo al Signore che ci insegni a pregare:

 Ormai io te solo amo, te solo seguo, te solo cerco e sono disposto ad essere soggetto a te soltanto, poiché tu solo con giustizia eserciti il dominio ed io desidero essere di tuo diritto. Comanda ed ordina ciò che vuoi, ti prego, ma guarisci ed apri le mie orecchie affinché possa udire la tua voce. Guarisci ed apri i miei occhi affinché possa vedere i tuoi cenni.

Allontana da me i movimenti irragionevoli affinché possa riconoscerti.

(Davide Maria Turoldo)

 Preghiamo a cori alterni

 

Signore, tendi l'orecchio, rispondimi,

perché io sono povero e infelice.

Custodiscimi perché sono fedele;

tu, Dio mio, salva il tuo servo, che in te spera. 

Pietà di me, Signore,

a te grido tutto il giorno.

Rallegra la vita del tuo servo,

perché a te, Signore, innalzo l'anima mia. 

Tu sei buono, Signore, e perdoni,

sei pieno di misericordia con chi ti invoca. 

Porgi l'orecchio, Signore, alla mia preghiera

e sii attento alla voce della mia supplica.

Nel giorno dell'angoscia alzo a te il mio grido

e tu mi esaudirai. 

Fra gli dei nessuno è come te, Signore,

e non c'è nulla che uguagli le tue opere. 

Tutti i popoli che hai creato verranno

e si prostreranno davanti a te, o Signore,

per dare gloria al tuo nome;

grande tu sei e compi meraviglie:

tu solo sei Dio. 

" Mostrami, Signore, la tua via,

perché nella tua verità io cammini;

donami un cuore semplice

che tema il tuo nome. 

Ti loderò, Signore, Dio mio, con tutto il cuore

e darò gloria al tuo nome sempre,

perché grande con me è la tua misericordia:

dal profondo degli inferi mi hai strappato. 

Mio Dio, mi assalgono gli arroganti,

una schiera di violenti attenta alla mia vita,

non pongono te davanti ai loro occhi. 

Lento all'ira e pieno di amore, Dio fedele,

volgiti a me e abbi misericordia:

dona al tuo servo la tua forza,

salva il figlio della tua ancella. 

Dammi un segno di benevolenza;

vedano e siano confusi i miei nemici,

perché tu, Signore, mi hai soccorso e consolato.

 Gloria

 Ascoltiamo la Parola di Dio ( Mc 9,14-27 )

14 E arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e alcuni scribi che discutevano con loro. 15 E subito tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. 16 Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». 17 E dalla folla uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. 18 Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». 19 Egli allora disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». 20 E glielo portarono. Alla vista di Gesù, subito lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando. 21 Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall'infanzia; 22 anzi, spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». 23 Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». 24 Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!». 25 Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli: «Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più». 26 Gridando e scuotendolo fortemente, usci. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «E morto». 27 Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi.

 

COMMENTO BIBLICO … per entrare nel testo

 

  1. 14 E arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e alcuni scribi che discutevano con loro.

L'inizio di questo racconto è molto movimentato, proviamo a immaginare la scena: Gesù sta giungendo sul luogo con i tre discepoli della trasfigurazione, stanno parlando della venuta di Elia che dovrebbe precedere la resurrezione dai morti. Gli altri nove discepoli sono attorniati dalla folla numerosa, gli scribi stanno discutendo con loro. Possiamo immaginare che oggetto del dibattito sia la malattia di questo ragazzo che loro, in assenza di Gesù, non riescono a sconfiggere. 

  1. 15 E subito tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia' e corse a salutarlo.

Ora la folla si muove incontro a Gesù ammirata. Lo accoglie con uno stato d'animo bello, fatto di gratitudine e attesa, di buona disposizione e apertura. 

  1. 16 Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?».

Gesù chiede, si interessa della vita dei suoi discepoli, li interroga, vuole capire come vivono, cosa fanno in sua assenza, perché sono alle prese con questi intellettuali, vuole capire quale è il problema. Li ha lasciati da soli ma in un certo senso li ha portati con sé. Come mostra Gesù, c'è una forza relazionale importante nel saper domandare, nell'interessarsi senza invadenza, nel saper prendersi a cuore le 'questioni' degli altri. 

  1. 17-18 E dalla folla uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti».

Colpisce il fatto che a rispondere sia il papà chiamato però uno della folla, come se il figlio malato fosse il figlio di tutti. Forse Marco vuoi sottolineare che un po' tutti noi siamo bisognosi dell'aiuto del Signore, ci accomuna questa conoscenza del male e questo non essere capaci di liberarcene da soli. Siamo di fronte a un ragazzo che è intrappolato, non può entrare in relazione, la sua non è una vita umana, non è nemmeno se stesso. È posseduto da questo male che lo domina, che fa da padrone nella sua persona impedendogli ogni comunicazione. In questo ragazzo è presente il male radicale dell'uomo, quello che getta nella solitudine, che rende muti, incapaci di relazioni e comunicazione. ( Interessante leggere al proposito l’episodio dell’indemoniato di Gerasa in Mc 5,1-20 ) 

  1. 19 Egli allora disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me».

La diagnosi di Gesù è semplice, il male radicale è l'incredulità che porta poi alla perdita di se stessi, della propria libertà di figli. Questo ragazzo sembra incarnare la mancanza di fede nostra e dei discepoli. Per questo Gesù perde la pazienza e quando Dio perde la pazienza cosa fa? Salva! L'ira di Dio è la salvezza. Vuol dire: basta, ho già visto! Arrivo! Portatemelo! 

  1. 20 E glielo portarono. Alla vista di Gesù, subito lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando.

Di nuovo la descrizione del male con un dato in più: il ragazzo non sta in piedi, aderisce alla terra e rotola, il suo corpo non comunica più nulla, si muove in modo caotico, nulla di umano sotto gli occhi di Gesù, e nostri. Questa insistenza nella descrizione della malattia (ripresa ben quattro volte) dice come il male sia centrale nella vita di tutti, lo incontriamo in noi e negli altri e sempre, nella sua espressione radicale, è ciò che ostacola con forza la nostra verità di esseri umani, figli liberi di Dio e fratelli tra noi. Il male compromette la parola, sfigura il volto, annulla la comunicazione, toglie stabilità.

  1. 21-22 Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall'infanzia; anzi, spesso Io ha buttato anche nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci».

Dopo l'ulteriore descrizione del male che in tutti i modi vuole strappare questo ragazzo a se stesso, ecco che si apre al dubbio sulla volontà di Dio (Mc 1,40), sulla sua potenza; il male che sfigura la nostra vita e quella dei nostri cari ci pone di fronte a Dio con esitazione, spesso con l'accusa che Egli non sappia o non voglia agire. 

  1. 23 Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede».

Il problema non è se Dio possa, è se noi crediamo. Dio è legato, nella sua possibilità, alla nostra fede, all'ascolto della sua Parola che ci fa liberi, che ci consente di attraversare ogni male con fiducia, senza sentirci sopraffatti. La fede in Dio, nel bene che sostiene sempre la nostra vita, ci rende simili a Gesù, nostro fratello maggiore, che attraversa il male e la-morte con fiducia. 

  1. 24 Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!».

È una bella preghiera quella del padre di questo ragazzo che afferma di credere ma anche di essere incredulo. Sente che la sua fede è poca eppure sufficiente per credere almeno una cosa: che Gesù lo possa aiutare nella sua incredulità. La vera fede è proprio questa, non tanto la certezza della solidità della nostra fede, che è sempre carente, vacillante, dubbiosa, ma la fede in Lui che può venire incontro alla nostra pochezza nella fede. 

  1. 25 Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli: «Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più».

Lo spirito non è solo muto ma anche sordo, e il ragazzo è muto perché sordo, l'ostacolo profondo al vivere da esseri umani, che comunicano e stabiliscono relazioni buone, è l'essere incapace di accogliere la Parola del Signore che ci comunica il Suo grande amore. L'ordine di Gesù è perentorio, sembra metterci proprio tutta la sua potenza perché ha a cuore la nostra umanità che è bella, promettente, gioiosa, capace di far felice il Padre a patto che sia liberata da ciò che la avvilisce e la deforma. E così Gesù intima al male  di non entrare mai più in quel ragazzo, perché l'incredulità tenterà sempre di entrare in ciascuno di noi e questa è la forma più subdola e pericolosa del male ! Saremo sempre tentati nella vita di dare ascolto a quelle parole che ci strappano alla nostra umanità profonda di figli liberi di Dio e fratelli tra noi. 

  1. 26-27 Gridando e scuotendolo fortemente, usci. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi.

Ultimo fremito convulso, disumano del ragazzo che poi appare come morto; si nomina ben due volte la morte in questo breve versetto, a sottolineare che siamo ancora distanti dalla vita, c'è bisogno di altro, del gesto, del contatto di Gesù. A dare la vita, a dare l'umanità, a far alzare, risorgere, concorre anche la dimensione fisica. Il corpo dice molto del bene e dell'amore che ci tiene in vita, dice molto sul fatto che non siamo più sordi alla sua Parola. Il tocco di Gesù richiama alla vita questo 'figlio', gli restituisce la posizione tipica dell'essere umano che riprende a camminare, per avvicinarsi al cielo, per protendere le braccia, per lodare e ringraziare il Signore.

 

 

 

PER AIUTARE LA RIFLESSIONE DI COPPIA

Tutta la vicenda è mossa dal desiderio di un padre che chiede per il figlio la possibilità di accedere a una vita umanamente piena. Il brano ci guida istruendoci sui passi che anche a noi sono possibili per liberarci da quegli 'spiriti' che tengono lontani dalla presenza di Dio promessa da Gesù.

E giunti... È in atto una discussione e quando si discute quasi sempre si pretende di avere ragione, non c'è un vero dialogo, che è più faticoso ed è basato sul confronto per cercare insieme la verità. In famiglia capita spesso di discutere : si scontrano spesso diversi punti di vista. Ci sono situazioni che non portano a nulla, ognuno rimane arroccato sulle sue posizioni.

Tutta la folla... È da notare che i presenti non vanno a cercare Gesù, che arriva di suo. Tutta la folla sembra contenta, forse non si aspettava di vederlo e gli corre incontro. Chi si meraviglia sa di essere di fronte a qualcosa/qualcuno che è li per lui/lei ma di cui non dispone, che deve solo accogliere, salutare e attendere. La meraviglia è il sentimento che rende la vita non mai scontata, riconosce l'altro/a sempre ulteriore alle mie attese e alle mie previsioni. Forse questa folla anonima dice qualcosa di profondo alla nostra vita di coppia. Anche noi siamo contenti di avere con noi Gesù grazie al Sacramento del matrimonio. Ma abbiamo necessità di rinnovare questo incontro altrimenti la Sua rimane una vicinanza superficiale, è importante che lo riconosciamo presso di noi con meraviglia e affetto. E l'incontro con Gesù si rinnova ogni giorno nel quotidiano, nel nostro essere sposi cristiani e perciò non basta tenere pulita la casa, cucinare bene, seguire i figli con attenzione, curare il proprio corpo, dialogare con il coniuge, occorre fare tutte queste cose con e per amore. Gesù si informa su quello di cui stanno discutendo, vuol capire. Impariamo da Lui il modo bello di interessarsi gli uni degli altri, di averci a cuore reciprocamente, di avere un pensiero del tipo: chissà cosa starà facendo?... come fa Gesù che, in qualche moda, li ha portati con sé.

Uno Gli rispose... Questo papà conosce bene la malattia e ne riconosce tutti gli effetti, le manifestazioni, come noi conosciamo fino in fondo il nostro 'male', i nostri difetti che ci dividono. Questo papà riconosce di aver bisogno di aiuto ma i discepoli non riescono a guarire il ragazzo quasi a dire che non basta dirsi discepoli per vincere il male, occorre essere pieni di fede. Per noi vale lo stesso: non basta essere sposati in chiesa per diventare una coppia cristiana, occorre un'adesione completa a Gesù, ascoltarlo col cuore . Quante volte ci capita di  pensare: "Quando arrivo a casa e non ti trovo perché sei in giro a fare la passeggiata col cane e la cena non è pronta al momento mi verrebbe voglia di arrabbiarmi. Se invece penso cosa avrebbe fatto Gesù al mio posto, mi rassereno e cerco di capire anche le tue esigenze di stare all'aria aperta per scaricare un po' le tue tensioni".

Egli allora... Gesù è deluso e fa notare a tutti la mancanza di fede. Sembra stanco di avere intorno gente incredula, nonostante quello che Lui fa. Perché questo? Essere increduli significa non ascoltare la Parola che ci fa conoscere la nostra verità più profonda di figli liberi di Dio e da lui amati. Gesù è venuto a dirci con tutto se stesso questa verità che ci permette di vivere bene la vita, qualunque sia la difficoltà che incontriamo. Lui per primo ha vinto il male della morte attraverso la fiducia nel Padre. Senza l'ascolto di Gesù e della sua Parola siamo anche noi come questo ragazzo, viviamo da 'posseduti', scossi da 'altro' digrigniamo i denti fino a 'seccare' e alla fine morire. Per noi coppie avere fede in Gesù vuol dire riconoscere tutto il bene che abbiamo ricevuto dal Padre e avere fiducia in Lui. È un po' come sottomettersi, abbandonarsi, lasciarsi consigliare, correggere nell'accogliere i propri limiti, nel dare giudizi, nell'essere rispettosi, ma anche misericordiosi e pronti al perdono. Avere fede significa credere che c'è una presenza reale vicino a noi che ci ama infinitamente e che vuole il nostro bene, fa i nostri interessi e non vuole altro che restituirci alla pienezza della nostra umanità.

E glielo portarono... Alla vista di Gesù riparte la crisi. Quando decidiamo di affrontare un problema, una difficoltà, facciamo fatica a lasciarci andare, mettiamo in atto le nostre resistenze. Digrigniamo i denti, siamo rigidi, come il ragazzo epilettico perché in verità facciamo fatica a vincere i nostri egoismi. "Quando mi rimproveri di dimenticarmi delle cose da fare ormai già stabilite, mi sento offeso, faccio fatica ad accettare l’osservazione e psaas poi del tempo   prima che riusciamo a liberarci del risentimento. E’ importante sapere di correre questo rischio,  per non perdere il controllo e farsi travolgere.

Gesù interrogò il padre... Il padre chiede aiuto, le prova un po' tutte pur di restituire al figlio la salute, chiede misericordia al Signore. Un invito a non perdere la speranza, a provare e riprovare perché la nostra relazione ritrovi serenità, pace, perché quel figlio, quella figlia ritrovi la gioia di vivere, perché, in generale, il male allenti la sua presa sulla nostra vita. Chiedere aiuto è via di salvezza per la famiglia, per la coppia, cosa spesso difficile ma che, se 'osata', può veramente riaprire la via della vita. Perché di fatto la fede intercetta la profondità del problema del male e lì entra a dire una parola, altrimenti non è fede: o incontra e attraversa la morte oppure rimane qualcosa di artificioso. La fede diventa richiesta di aiuto nella sofferenza e nel dolore, diventa un rivolgerci a Lui per chiedere la Sua misericordia.

Gesù gli disse... Se tu puoi, ripete Gesù al papà. Gesù lo porta a rimeditare le sue parole perché vuole lasciarci liberi di credere veramente, non ci obbliga. Gesù accompagna quest'uomo verso la fede: tutto è possibile per chi crede! Gli sta facendo capire che con le sole nostre forze umane non possiamo vincere il male, ma se ci affidiamo a Lui, che ci dà il dono dello Spirito, allora potremo ricevere qualunque cosa, superare ogni ostacolo fino ad attraversare il male della morte. Ed è questo il primo miracolo: che la sofferenza non ci trascini nella disperazione, anche se la guarigione tarda o non arriva.

Il padre del fanciullo... questo papà si rende conto della sua poca fede, dei suoi limiti, non chiede più la guarigione di suo figlio ma chiede la propria conversione, inizia il suo cammino verso la fede che riconosce debole se non inesistente: aiutami nella mia incredulità. Anche noi sposi dobbiamo riconoscere che non basta la decisione di amare, la volontà di stare insie-

Dobbiamo anche noi, come quel papà, avere il coraggio di chiedere al Signore di aiutarci a 'credere' sempre più in Lui, nella vita, nel nostro coniuge, nel bene della famiglia. È importante credere che Lui è con noi, nella nostra relazione e sostiene il nostro cammino di sposi donandoci, se glielo chiediamo, la forza di credere nel bene, in Dio.

Allora Gesù... Gesù scaccia lo spirito muto e sordo. Un sordo per natura non è necessariamente anche muto, ma il divenire sordi porta progressivamente a perdere l'uso della parola. La parola manca a chi non sa ascoltare, per cui chi è sordo alla parola diventa muto perché non può rispondere all'amore. E questo accade con la Parola del Signore: meno la ascoltiamo meno sappiamo parlare, ma capita anche per la parola dello sposo, della sposa. L'ascolto è sempre la condizione richiesta per poter parlare, per questo siamo dotati di due orecchi e di una bocca soltanto! In una coppia di sposi l'ascolto è elemento fondamentale per una buona relazione e sarà fatto 'col cuore', così da accogliere in profondità quello che il nostro sposo/a sta dicendo e sta provando; solo allora potrò dire una parola feconda, non di giudizio e di condanna ma di accoglienza e di vita.

Gridando e scuotendolo fortemente... Lo spirito immondo dopo il comando di Gesù abbandona il ragazzo lasciandolo però tramortito. Alla fine dello scontro con ciò che ostacola la pienezza e la bellezza della vita, non si è mai brillanti e in piena forma, ma silenziosi, poco sorridenti, magari doloranti nell'animo. Spossati e affranti abbiamo bisogno di un gesto di affetto, di un tocco di presenza e accoglienza. Gesù prende per mano il ragazzo, lo risolleva e lo fa alzare in piedi, come risorto. È bello il gesto di Gesù, questo 'prendere per mano' che ha un sapore di amicizia, di confidenza, di famiglia. Dopo il tocco di Gesù, dopo un gesto di affetto, di contatto buono, si può di nuovo camminare, cioè si ricomincia a vivere.

PARROCCHIA SACRA FAMIGLIA IN ROGOREDO

GRUPPO FAMIGLIE PARROCCHIALE  - 20 febbraio 2016   

III INCONTRO : il desiderio di CAMMINARE – Mc 2,1-12

 

P.: Nel nome del Padre...

Chiediamo al Signore che ci insegni a pregare:

 Tutti:

Concedici, o Dio misericordioso,

di desiderare con ardore ciò che tu approvi,

di ricercarlo con prudenza,

di riconoscerlo secondo verità,

di compierlo in modo perfetto,

a lode e gloria del tuo nome.         (San Tommaso d'Aquino)

 

Preghiamo a cori alterni Salmo 146 (145)

 Loda il Signore, anima mia:

loderò il signore finche o vita

canterò inni al mio Dio.

Non confidate nei potenti,

in un uomo che non può salvare.

Esala lo spirito e ritorna alla terra:

in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni. 

Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe:

la sua speranza è nel Signore suo Dio,

che ha fatto il cielo e la terra,

il mare e quanto contiene, 

che rimane fedele per sempre,

rende giustizia agli oppressi,

dà il pane agli affamati. 

Il Signore libera i prigionieri,

il Signore ridona la vista ai ciechi,

il Signore rialza chi è caduto,

il Signore ama i giusti, 

il Signore protegge i forestieri,

egli sostiene l'orfano e la vedova,

ma sconvolge le vie dei malvagi.

Il Signore regna per sempre,

il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

 

Ascoltiamo la Parola di Dio (Mc 2,1-12)

Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. 'Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». Seduti la erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro :” Perché costui parla così ? Bestemmia ! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”. Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? 'Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina?  Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, "ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua». Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».

 

COMMENTO BIBLICO … per entrare nel testo 

Questo brano si colloca all'inizio della vita pubblica di Gesù, quando il Maestro comincia a essere conosciuto. Di villaggio in villaggio la gente parla e racconta di quello che compie. La fama si diffonde, così la folla lo segue attraverso la Galilea, avvertendo in Lui qualcosa di grande che intercetta un bisogno profondo, di salute, di compagnia, di senso di salvezza... Decidendo di seguirlo questa folla svela il desiderio profondamente umano di incontrarsi con Dio. 

vv 1-2 Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola.

Gesù si ritrova nuovamente a Cafarnao, in una casa non identificata, una casa qualunque... ancora una volta, dopo il miracolo della guarigione della suocera di Pietro (Mc 1, 29-31), Gesù sceglie una casa e non il tempio, non un luogo sacro ma un luogo del quotidiano, un luogo della famiglia. Là si raduna molta gente che però diventa un ostacolo per chi vuole 'entrare' dalla porta al cospetto di Gesù.

vv 3-4  Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il tettuccio su cui giaceva a paralitico.

Poiché il percorso orizzontale è precluso i portatori scelgono di salire sul tetto della casa e far scendere il paralitico davanti a Gesù attraverso un buco ricavato nel tetto. É importante che i due si trovino insieme nello stesso luogo, l'uno di fronte all'altro. Notiamo facilmente che quando il paralitico viene portato a Gesù, non solo non cammina: non parla! Il testo non dice che ha chiesto di essere guarito. Tuttavia l'intervento di altre persone è fondamentale per la sua guarigione, altri sembrano prendere l'iniziativa al suo posto, altri si fanno carico della sua infermità aprendogli la via di una vita sanata. Possiamo immaginare che siano persone della famiglia, parenti, amici, o comunque vicini del paralitico. Per raggiungere traguardi importanti ci vuole sempre qualcuno che ci aiuti e bisogna, in un certo senso, 'aggirare' la folla, l'anonimato, la corrente e saper cambiare creativamente orientamento in pochi minuti.

 v 5 Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati».

Gesù vede la procedura complicata che permette al paralitico di raggiungerlo attraverso il tetto e insieme 'vede' la loro fede. Vede e interpreta il loro gesto come un atto di fede. L'evangelista introduce qui il termine proprio della fede, `pistis' in greco cioè, l'atteggiamento che permette a Gesù di entrare in relazione e manifestare la sua forza. C'è una reciprocità 'miracolosa', salvifica, tra il paralitico e Gesù; grazie alla fede degli accompagnatori si apre una porta che permette a Gesù di agire liberamente: la fede, propria o altrui, è lo spazio specifico da Lui richiesto per far fluire l'energia divina della guarigione e della salvezza. E quel movimento `verticale', dall'alto del tetto verso il luogo in cui sta Gesù, già di per sé allude alla relazione con Dio. Gesù quindi non guarisce per compassione ma per ammirazione del coraggio e della fede di chi ha di fronte. Lo chiama 'figliolo', forma familiare che rivela il suo parlare a nome di un Dio affettuoso, che stabilisce  la relazione sotto una forma paterna e certamente anche materna: con la Sua parola egli rigenera alla vita. Tutti a questo punto si aspettano che lo risani, rimettendolo in piedi. Invece l'intervento di Gesù sposta l'attenzione dal piano fisico a quello spirituale: guarisce anzitutto dal peccato, che è una malattia più grave di quella fisica perché allontana dalla relazione con Dio paralizando tutto l’uomo . Fermarsi alla sola salute fisica può trarre in inganno facendoci mancare il bersaglio, il centro: l'obiettivo ultimo della vita è la salvezza, non la salute (che presto o tardi, comunque, se ne va per tutti). Ricordiamo che il passivo usato da Gesù ti sono rimessi i peccati implica Dio come soggetto. A Gesù noi per lo più chiediamo la guarigione del corpo, Egli però mette in primo piano la guarigione interiore, il ristabilire una buona relazione con Dio che mette in salvo dalla paralisi e dalla disperazione di una vita insensata.

vv 6-7 Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?».

Gli scribi sono presenti in una posizione di onore, senza muoversi, senza alzarsi per andare a vedere cosa sta succedendo, si scandalizzano di ciò che Gesù dice in quanto Egli perdona in nome proprio e non in nome di Dio. Gli scribi stanno distanti da Gesù mentre la folla lo preme . Questi scribi in realtà non sanno riconoscere Gesù come figlio di Dio e lo vedono quindi come un bestemmiatore, lontano e maledetto da Dio. Questa accusa lo porterà poi davanti al Sinedrio. I 'paralitici' di questo brano (come i veri ciechi nel racconto del Cieco nato di Giovanni) sembrano essere più gli scribi che, piuttosto che accogliere le infermità del fratello, stanno seduti, fermi, immobili e a distanza,  giudicano aspramente rivelando la loro 'paralisi' interiore, il loro peccato.

 vv 8-9 Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina?

Gesù capisce nel suo spirito quello che gli scribi pensavano nei loro cuori: è questo lo 'strumento' adatto alla conoscenza propria di Gesù che sa penetrare nel cuore dei suoi ascoltatori. l'umanità. Il perdono dona all'uomo una nuova vita, lo rende capace di camminare verso l'altro e verso Dio.

vv 10-11 «Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua».

Le parole di Gesù liberano integralmente l'uomo dal peccato e dall'infermità, andando dritto al suo cuore e ponendolo ora dalla parte della vita. Il peccato, la distanza da Dio, è la radice del male che impedisce di 'camminare' nella vita, per questo necessaria la guarigione dello spirito che conduce alla salvezza e rimette in piedi. Guarito nello spirito l'uomo viene trasformato, rinnovato. Il letto che il paralitico guarito è invitato a riprendersi, rappresenta tutto ciò che ha fatto parte di lui, che ha 'paralizzato' il suo spirito impedendogli di andare verso l'altro, di fare il bene dell'altro, di far parte del disegno di Dio. Anche se ora sa camminare, egli porta ancora con sé questo bagaglio, segno di un passato che in qualche misura continua a far parte di lui e a condizionarlo pur nella vita rinnovata dal perdono.

Solo dopo la guarigione il paralitico è in grado di muoversi, si mette in cammino, fisicamente e spiritualmente, perché liberato dal peccato che lo imprigionava. Per poter cominciare una vita nuova egli aveva bisogno, come ciascuno di noi, di perdono, di essere riammesso all'esistenza, 'legittimato' a esistere. Gesù, rimandandolo a casa, lo invita a diventare testimone tra i suoi, così da fare della sua casa un luogo di vita, di serenità, di cammino interiore, di accoglienza della Parola. Notiamo che i tre verbi della parte finale di questo versetto rovesciano completamente la situazione iniziale; alzati, mentre lui all'inizio era steso; prendi il tuo lettuccio, mentre all'inizio lui era portato da quattro persone; e va' a casa mentre all'inizio lui non riusciva nemmeno a entrare in questa casa. La guarigione operata da Gesù crea nuove condizioni, rende la  vita accessibile e vivibile , rimette in piedi così che diventiamo protagonisti della nostra vita, capaci ai camminare, di muoverci, di portare la nostra storia e i nostri limiti.

v 12 Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!»

L'ordine è eseguito alla lettera, immediatamente; l'uomo ormai guarito prende il suo lettuccio e se ne va, non lascia lì nulla di sé e del suo passato ma se lo porta dietro. Il suo passato, quello che è stato, ora non lo blocca più; ora riesce a camminare nella sua vita e a 'portare' tutto quello che costituiva la sua condizione precedente. La folla ha seguito attentamente gli avvenimenti e avvolta dallo stupore rende gloria a Dio, esprime il suo sconcerto diventando espressione della fede di tutta la comunità.

PER AIUTARE LA RIFLESSIONE DI COPPIA

Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa...

Gesù sceglie di compiere la Parola in una casa, in una famiglia. Ancora una volta la famiglia sta molto a cuore a Gesù tanto che egli la fa diventare luogo normalmente abitato da lui, dalla sua Parola. Il raccogliersi in casa per ascoltare la Parola diventa così un gesto sacro.

Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone...

Il paralitico viene portato a Gesù da quattro persone; immaginiamo la loro premura, attenzione, coraggio. Sanno per certo che il paralitico, anche se muto, vuole guarire, lo sentono e agiscono di conseguenza facendosi carico del suo desiderio. Siamo invitati anche noi a riconoscere i bisogni del nostro sposo/a, sostenendo il peso della malattia, della sofferenza non solo fisica ma anche interiore con altrettanta premura, attenzione e coraggio. Pensiamo a quante volte le preoccupazioni per il lavoro, per i figli, per i parenti bloccano l'altro/a. Notiamo anche che le persone sono quattro. Uno da solo non ce l’avrebbe mai fatta a sostenere il lettuccio, ad avvicinarlo a Gesù. Così anche noi , così amanti oggi del non dipendere da nessuno, non potremmo mai farcela a sostenere i pesi, talvolta gravosi, nostri e degli altri; invece, imparare a chiedere aiuto è fondamentale per il bene di tutta la famiglia! Le persone che portano il paralitico per riuscire nel loro intento dimostrano intesa, creatività, armonia, capacità di muoversi con i ritmi e i tempi giusti, di seguire la stessa direzione, affrontando insieme i passaggi più delicati e difficili. Eppure sono uomini normali! Nella nostra vita di coppia abbiamo sperimentato la bellezza dell'intesa, dell'armonia, della capacità di muoverci nella stessa direzione a favore di altri: i nostri figli, la nostra comunità. Ma abbiamo anche sperimentato che talvolta siamo noi stessi il paralitico, quando rimaniamo fermi nelle nostre prese di posizione e nelle resistenze ai cambiamenti. Siamo a tratti uno dei quattro ma siamo anche quel paralitico e ciò vale per ciascuno singolarmente e per la coppia. Come il paralitico non siamo capaci di camminare perché schiacciati dal peso della vita, dei nostri limiti, egoismi, chiusure, incertezze, timori.

Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati»...

i peccati sono la nostra paralisi interiore che ci impediscono di amare, di donarci gratuitamente, di camminare sulla via del bene. Ci bloccano in un'esistenza focalizzata solo su noi stessi, sui nostri bisogni che diventano talvolta così preponderanti da paralizzare anche il nostro sposo/a. Pensiamo a tutte quelle volte che abbiamo immobilizzato chi ci vive accanto con le nostre paure, con i nostri fallimenti personali, con i nostri preconcetti; così, oltre a essere noi il povero paralitico, impediamo all'altro/a di muoversi togliendogli/le anche la possibilità di aiutarci. Gesù, però, sorprendentemente, a partire da un gesto nel quale riconosce fede in Dio, libera con grande semplicità dai ceppi che trattengono la vita.

Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?...

Dovrebbero essere nella posizione di ascolto e invece stanno fermi, non si muovono; forse sono paralitici anche loro? Non hanno nemmeno il coraggio di esprimere il loro parere ad alta voce, preferiscono parlare tra loro, mormorando e giudicando, senza scomporsi, senza entrare in relazione con l'ammalato, con gli altri, e tantomeno con Dio. Succede anche a noi quando, convinti di aver capito tutto, giudichiamo il nostro sposo/a incuranti della sua paralisi, precludendo a entrambi la possibilità di una guarigione.

Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori?...

Gesù ci precede sempre, anche nei pensieri del nostro cuore. Lui conosce profondamente ciò che passa per la testa degli scribi che, scandalizzati, pensano che Egli sia un semplice uomo e non possa perdonare i peccati in nome di Dio. Anche noi verso il nostro coniuge non sempre abbiamo pensieri positivi. I nostri preconcetti ci portano a pensare, vedere, giudicare, secondo i nostri parametri e non secondo quelli di Dio! Gesù ci esorta ad avere più fiducia in Lui e nel nostro sposo/a stando attenti anche ai nostri pensieri, perché non vengano offuscati dalle negatività della vita.

Che cosa infatti è più facile: dire "Ti sono perdonati i peccati", oppure dire "Alzati e cammina"?...

Possiamo notare come il perdono diventi il fulcro di tutta la vicenda. Non sappiamo come andassero le cose a quei tempi... sappiamo però che ai nostri giorni la riconciliazione è uno tra i sacramenti che risultano più difficili; come gli scribi che si credono nel giusto, non capiamo quanto sia necessario il sacramento della confessione, non comprendiamo a pieno che il cammino della nostra vita dipende dalla comunione con Dio sempre da cercare e rinnovare! E ce ne stiamo lontani dal confessionale... Così tendiamo a sottovalutare anche la riconciliazione quotidiana fra noi coniugi e in famiglia. Accade un po' come dopo una discussione con il nostro sposo/a: vorremmo fare il primo passo, vorremmo chiedere scusa, ma le parole si fermano in gola e le gambe si rifiutano di muoversi : spiritualmente ci confermiamo dei poveri paralitici.

Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino — disse al paralitico — alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua»...

Le parole di Gesù sono decisive. Nella nostra vita normale il letto è il luogo del riposo dalle fatiche e dalle ansie della giornata, dove il corpo ritrova la forza e l'energia, dove rivediamo il nostro vissuto quotidiano, dove ci incontriamo da marito e moglie dopo una lunga giornata di impegni. Per il paralitico il letto è il luogo che lo imprigiona, che lo condanna, che gli dimostra con chiarezza i suoi limiti e le sue debolezze. Il letto per lui rappresenta il luogo della non-guarigione e dell'impossibilità di un cambiamento della propria vita, come se egli fosse legato al proprio destino. L'ordine di Gesù gli dice di portarselo dietro quel letto, quasi invito a fare memoria del miracolo ricevuto ma anche dei postumi di una malattia che forse si trascina e che lo segna ancora un po'. Anche noi, come il paralitico, siamo chiamati a ricordare sempre di essere peccatori perdonati perché il Signore, incontrandoci, non solo ci ha guariti e rimessi in piedi, ma ci ha insegnato ancora una volta a camminare guardando al futuro con fiducia e con speranza nonostante il nostro passato non ci abbandoni mai del tutto.

Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!»...

Dopo che siamo stati guariti Gesù ci dice di andare a casa dai nostri. Casa è... la nostra coppia, la nostra famiglia, sono i nostri amici, la nostra comunità, il posto di lavoro ecc. Ora che siamo liberi dal peccato, dall'egoismo, dal ripiegamento su noi stessi, possiamo testimoniare con gioia la grazia ricevuta diventando Vangelo vivo, segno credibile della buona notizia. Se ci rimettiamo a camminare nella vita con la leggerezza di chi ha ricevuto una 'portato', diventiamo annunciatori della buona notizia nella nostra coppia, nella nostra casa. Il clima cambia, le tensioni si allentano, le frustrazioni diminuiscono, ci si lamenta di meno, gustando e gioendo del bene comune. Casa... sentirsi a casa vuol dire stare in pace con se stessi, stare in pace nell'altro/a facendo bene la propria parte, che è solo una parte! Ciò implica il coinvolgimento del coniuge, nel rispetto dei diversi carismi, perché senza lui non riusciremmo a camminare. Questo riprendere il cammino guariti, questo mettersi in moto insieme come coppia ci consente di 'portare' altri al cospetto di Gesù, contribuendo cosi al bene comune nella coppia, nella famiglia, nella comunità. E quando una persona viene aiutata ad alzarsi, quando si realizzano gesti di liberazione dal male e dal peccato, quando si costruiscono progetti di giustizia e di pace, allora c'è motivo per la meraviglia e la lode a Dio. Perché questo è il vero miracolo!

PARROCCHIA SACRA FAMIGLIA IN ROGOREDO

GRUPPO FAMIGLIE PARROCCHIALE  - 14 novembre 2015  

II INCONTRO : Il desiderio bloccato : Mt 14, 22-33

 

P.: Nel nome del Padre...

 Chiediamo al Signore che ci insegni a pregare:

 Tutti:

Signore, noi ti ringraziamo perché ci raduni ancora una volta

alla tua presenza, ci raduni nel tuo nome.

Signore, tu ci metti davanti la tua Parola,

quella che tu hai ispirato ai tuoi profeti:

fa' che ci accostiamo a questa Parola

con riverenza, con attenzione, con umiltà;

fa' che non sia da noi sprecata,

ma sia accolta in tutto ciò che essa ci dice.

Noi sappiamo che il nostro cuore è spesso chiuso,

incapace di comprendere la semplicità della tua Parola.

Manda il tuo Spirito in noi perché possiamo accoglierla

con verità, con semplicità; perché essa trasformi la nostra vita.

(C.M. Martini)

 Preghiamo a  cori alterni il Salmo 77

Ricordo i prodigi del Signore,

sì ricordo le tue meraviglie di un tempo.

Vado considerando le tue opere,

medito tutte le tue prodezze.

O Dio, santa è la tua via;

quale dio è grande come il nostro Dio?

Tu sei il Dio che opera meraviglie,

manifesti la tua forza fra i popoli.

Hai riscattato il tuo popolo con il tuo braccio,

i figli di Giacobbe e di Giuseppe.

' Ti videro le acque, o Dio,

ti videro le acque e ne furono sconvolte;

 sussultarono anche gli abissi.

Le nubi rovesciavano acqua,

scoppiava il tuono nel cielo;

le tue saette guizzavano.

 Il boato dei tuoi tuoni nel turbine,

le tue folgori rischiaravano il mondo;

tremava e si scuoteva la terra.

Sul mare la tua via,

i tuoi sentieri sulle grandi acque,

le tue orme non furono riconosciute.

Guidasti come un gregge il tuo popolo

per mano di Mosè e di Aronne.

Ciascuno può riprende ad voce alta una frase o un passo  del salmo che lo ha colpito… 

Canto: Passeranno i cieli Alleluia 

ASCOLTIMO LA PAROLA ( Mt 14,22-33)

22Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.

24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

 Canto : Beati quelli che ascoltano la Parola di Dio e la vivono ogni giorno

 

COMMENTO BIBLICO … per entrare nel testo

 

  1. 22 Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull 'altra riva, finché non avesse congedato la folla.

La moltiplicazione dei pani, che immediatamente precede questo racconto, aveva creato un momento talmente bello che i discepoli avrebbero voluto arrestare il tempo. Gesù si trova davanti a una moltitudine di persone entusiaste per il miracolo del pane appena compiuto. Il rischio però è che venga fraintesa la sua missione. Nel vangelo di Giovanni (Gv 6,14-15) si dice che il popolo acclama Gesù come profeta e vuole farlo condottiero politico. Pertanto Gesù ordina subito di allontanarsi, li costringe: questo è un verbo inusuale, con un significato forte. Anche i discepoli sono facili a fraintendere (Mt 16,5-12) e c'è il rischio che anch'essi siano lusingati da questo successo, che si lascino trasportare dall'entusiasmo del popolo. Gesù intuisce la loro fragilità, li vede forse restii ad abbandonare questa situazione e li forza. 

  1. 23 Congedata la folla, salì sul monte, in disparte a pregare

Venuta la sera lui egli se ne stava lassù da solo . in questo momento delicato Gesù si ritira solitario in preghiera coma al Getsemani . Dopo aver donato il suo corpo, il pane,   va sul monte a pregare Dio suo Padre come se avesse bisogno di recuperare la giusta prospettiva per meglio osservare e capire la sua vita, la sua vocazione. Venuta la sera lui è solo sul monte a pregare, mentre i discepoli nella notte sono soli a remare sulle barche. Questo è assimilabile alla condizione umana, Gesù è col Padre, noi siamo qui sulla barca di questa vita .

  1. 24 La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario.

Immaginiamo la barca fuori controllo in mezzo alle acque, senza Gesù. I discepoli sono avvolti dal buio, sospesi tra cielo e abisso, lontani dalla riva, in mezzo al mare. La situazione crea angoscia. La barca è agitata dalle onde: questo termine (più letteralmente 'tormentata') richiama la 'pietra di paragone' che serve per provare l'oro in quanto graffia ciò che non è prezioso. Dunque, sembra dire il testo, le tribolazioni ci purificano: macinano la nostra durezza di cuore, per ricavarne l'oro prezioso del fiducioso rapporto con il Signore (cfr. 1Pt 1,6-7; Rm 5,3-5). Il vento è contrario e agita il mare, come se lo Spirito avverso riversasse contro l'uomo la morte. 

  1. 25 Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare.

Gesù appare ai discepoli in modo insolito proprio nel momento più buio della notte. Si tratta della situazione in cui la luce è molto lontana, il giorno è di là da venire. Il versetto ci dice che Egli trascende i limiti umani, ha autorità sul creato, sugli elementi naturali. Si comporta come solo Dio può fare. 

  1. 26 Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: "È un fantasma! " e gridarono dalla paura.

I discepoli lottano con il vento contrario, avevano trascorso una giornata emozionante e ora stanno attraversando una notte insonne. Nella notte (tra le tre e le sei), in mezzo al mare, sono proprio spaventati allo scorgere una figura umana che va loro incontro. Non pensano alla possibilità che possa essere Gesù e vedono un fantasma. Vengono così colti dal terrore, amplificato da tutta la situazione intorno : il mare è sconvolto  e i flutti rischiano di inghiottire la barca. Per questo levano le loro grida di paura. 

  1. 27 Ma subito Gesù parlò loro dicendo: "Coraggio, sono io, non abbiate paura! ".

Subito Gesù li rassicura parlando, e li invita ad avere coraggio. La paura è pochezza di fede, la fede invece è il coraggio di dar credito alla sua parola riconoscendolo presente. La vicinanza di Gesù allontana ogni paura, i discepoli riemergono dalla situazione terribile di perdizione e riprendono fiato. Dicendo «sono io» Gesù evoca la sua identità (Es 3,14), manifesta il potere di Dio (Mc 14,62), la sua vicinanza alle sue creature, ai suoi discepoli. 

  1. 28 Pietro allora gli rispose: "Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque".

Pietro sembra volere ancora una conferma della presenza di Gesù, rimane incerto forse perché dall'abisso della paura è difficile riemergere noi umani abbiamo bisogno di qualche rassicurazione in più, così Pietro chiede un segno. La prova è richiesta dal dubbio: «Se sei tu!». Il 'se' esprime l'incertezza. 

  1. 29 Ed egli disse: "Vieni! ". Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 

Pietro è disposto comunque a rischiare uscendo dalla barca e cercando di camminare su quelle onde agitate, in mezzo al vento impetuoso. Mostra così ima grande fede. Egli affronta il rischio di credere alla Parola: "Vieni!", si affida all'acqua, ora è fuori dalla barca.                                                           

  1. 30 Ma, vedendo che il vento era forte, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami! ".

Pietro però, vedendo il vento forte e l'acqua agitata di nuovo si spaventa: se guarda Gesù cammina, se guarda le sue paure sprofonda. Il testo sottolinea l'importanza della perseveranza nella scelta di fede, occorre rimanere saldi, non sporgersi sul versante del dubbio altrimenti la paura ci travolge. Le forze contrarie (il vento) sono tante, c'è il rischio di soccombere. Ma Pietro è col suo Signore, lo vede, Io sente e quindi lo supplica, si affida a Lui. La preghiera di supplica lo salva.

 1.v.31Subito Gesù  tese la mano , lo afferrò e gli disse:” Uomo di poca fede , perché hai dubitato “ ? 

Pietro non è lasciato  solo nella sua debolezza. Nelle tempeste della vita  non siamo soli. Il tocco di Dio ci riprende, ci accarezza, fa riemergere dal terrore. Dio non ci abbandona mai anche se apparentemente sembra essere  assente o non far nulla. 

  1. 32 Appena saliti sulla barca, il vento cessò.

Appena Gesù con Pietro sale sulla barca le forze del male cessano. L'emergere di entrambi dal mare rassicura tutti e rende anche il creato più ospitale, è come se la cessazione delle nostre paure potesse rendere le forze del male meno aggressive. 

  1. 33 Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti lui, dicendo: "Davvero tu sei Figlio di Dio!".

Ora avviene quella professione di fede che era stata preparata nell'episodio precedente della moltiplicazione dei pani, purificata con l'esperienza dell'allontanamento da Gesù, Pane di vita eterna (Gv 1-14). Anche Pietro ora può confermare i fratelli nella fede, dopo la prova. La salvezza porta all'adorazione. Questo tuttavia non impedirà a Pietro di rinnegare Gesù, in una caduta che gli consentirà di sperimentare sempre più a fondo cosa significa essere salvato.

PER AIUTARE LA RIFLESSIONE DI COPPIA

Questo racconto mostra il cammino che conduce dal turbamento e dalla paura al coraggio della fede, passando per la prova  del dubbio e della caduta; una fede che tramite un'esperienza di salvezza giunge alla sua pienezza. Il dubbio, a metà strada a incredulità e fede, è un passaggio necessario per tutti. Siamo tutti chiamati con Pietro a fare una traversata per arrivare all'altra sponda, a una fede più salda, a una vita in pienezza, a una relazione di coppia riuscita... In questo passaggio è fondamentale credere alla Parola di Gesù e cercare di vincere tutte quelle paure che bloccano il desiderio di seguirlo. Non è stato facile per Pietro e non lo è per i tanti passaggi della nostra vita personale e di coppia.  Intatti, lungo il tragitto la situazione è molto instabile, tant'è vero che ciò che sostiene, come l'acqua, può inghiottire e ciò che spinge, come il vento, può travolgere. L'episodio evangelico mette così in scena la precarietà della nostra esistenza che si trova spesso nelle condizioni di compiere una traversata, che a volte accade nella notte, quando le molteplici insidie del mare sono aggravate dalle tenebre. Il desiderio di arrivare da qualche parte che sia luogo di 'salvezza' ci sostiene, anche se la paura di andare a fondo non ci lascia mai. Sta a noi scegliere a che cosa dare credito.

Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva... Gesù costringe i discepoli a fare questo viaggio, a passare all'altra riva, senza di lui. Ciò che conta è trovare il coraggio per spingerci oltre le nostre sicurezze, per metterci in moto con fiducia perché Lui comunque ha promesso di raggiungerci. La nostra vita ci porta spesso ad affrontare una situazione nuova che può anche metterci in difficoltà, ma che porterà a una novità buona se sapremo accorgerci della Sua presenza. Anche la relazione di coppia spinge a intraprendere un cammino che porti all'incontro, alla condivisione profonda, essa è di per sé un 'andare verso l'altro'. Nel corso di questa traversata dall' io' al `noi' prima o poi incontriamo la bufera, essa è parte 'fisiologica' della vita. Non occorre voler raggiungere mete lontane per fare esperienza dell'attraversamento doloroso che conosce l'angoscia, a volte non dobbiamo fare nemmeno un passo.

Dopo il dono del pane, Gesù sale da solo sul monte a pregare. Mentre i discepoli sono in mezzo alla bufera Gesù è ancora là, a colloquio col Padre. É bello pensare che Lui sta parlando di noi al Padre, pensa a noi, prega al nostro posto, mentre noi siamo presi dalle tante difficoltà della vita di tutti i giorni. Così anche noi, nei momenti bui della nostra sera, quando manca la relazione, quando la serenità viene meno perché c'è una malattia, si è perso il lavoro... quando le cose sembrano più difficili del solito e il vento soffia contrario , posiamo anche noi pregare come Gesù al posto di un altro sposo, figlio , amico: "Signore so che lui adesso è lontano da Te, fa' come se io fossi lui e considera questa preghiera come se te l'avesse rivolta lui...".

La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde...

La barca indica il contesto che ci contiene nella vita, sostenendoci mentre percorriamo la nostra esistenza, anche attraverso gli abissi e le avversità quotidiane. Come nella vita, anche nella barca non ci sono vie di fuga: o si arriva a terra o si va a fondo! La barca sballottata dal mare, la paura dei discepoli, le parole di Gesù e il grido di Pietro, tutto questo fa capire che l'episodio vuole essere simbolo anche della famiglia e della coppia alle prese con le difficoltà quotidiane: incomprensioni, stanchezze, solitudini, lontananza...

Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare…

Sono passate tante ore, tanto tempo, il vento è ancora contrario e i suoi discepoli stanno facendo molta fatica mentre stanno eseguendo l'ordine di Gesù. E Lui si fa loro vicino. Così verso la fine della notte delle nostre fatiche, incomprensioni e incoerenze, Gesù prende l'iniziativa e viene verso di noi, non ci abbandona. Ma arriva in una maniera imprevista: impossibile per noi riconoscerlo immediatamente perché ci sentiamo completamente soli. Anche i discepoli di certo si saranno domandati come avrebbe potuto raggiungerli senza barca, e avranno ormai disperato nel suo aiuto, avvertendo abbandono e solitudine. Questo sconforto impedisce loro di riconoscerlo. Anche a noi Gesù viene incontro per vie inattese, in tempi e modi imprevedibili: attraverso una persona, una telefonata inaspettata, la parola di un amico, il gesto di un figlio che sorprende, le mani del nostro coniuge che ci accarezza e ci abbraccia.

Ma subito Gesù... Su questo sfondo di tenebra e paura, ecco la Parola che porta luce: "Coraggio sono io, non temete!" dice Gesù. Nelle difficoltà è umano avere paura, Gesù lo sa e incoraggia i discepoli a non lasciarsi andare perché Lui è lì. Gesù non dice il suo nome ma soltanto SONO IO  come quando al telefono chiediamo chi è e ci viene risposto da una voce familiare e cara : SONO IO  perché chi chiama sa di essere riconosciuto/a, è parte della famiglia e basta la voce per stabilire un legame. Così siamo invitati a riconoscere anche nel sacramento del matrimonio la voce amica, confidenziale, di Gesù che è tra noi e con noi sempre e ci dice "Non abbiate paura di andare a fondo". Gesù sa che la paura blocca e offusca anche i desideri più profondi e genuini, fa fare il male e impedisce di arrivare alla meta: il dialogo, l'ascolto, l'intimità, la tenerezza, la comunione.

Pietro allora gli rispose...

La risposta all'invito di Gesù è individuale e Pietro risponde a modo suo, chiede una conferma attraverso il suo poter fare come Gesù. Pietro incarna il desiderio dell'uomo di poter fare quello che fa Gesù. Eppure Gesù, ricordiamolo, non chiede ai discepoli di camminare sulle acque, chiede solo di fidarsi di lui e di non avere paura. Ci tiene talmente a questo che accetta anche la 'prova' che Pietro gli chiede "se sei Gesù e lo comandi, io posso camminare sulle acque...". Per seguire Gesù occorre fede ma per fare quello che fa Lui occorre anche coraggio, Pietro lo trova e alla parola di Gesù: Vieni! riesce a camminare sulle acque, ma per poco e non per potenza propria. La sua possibilità dipende unicamente dalla parola del Signore: Vieni! E la sua forza sta tutta nella sua fede in Gesù. Finché tiene lo sguardo su Gesù, Pietro cammina, se

guarda alle sue paure va a fondo. La paura nasce al distogliere lo sguardo da Lui, così che nel mezzo della bufera ci sentiamo indifesi, incapaci, deboli. Sono tante le paure che ci prendono: paura di perdere sicurezza, di perdere quello che è nostro, la nostra libertà i nostri spazi. E la paura non ci fa ragionare, offusca gli occhi e la mente. La paura di annegare ha fatto dimenticare a Pietro che Gesù era li, davanti a lui. Così accade nella vita di coppia e di famiglia: quando rispondiamo al suo invito si procede con entusiasmo, quando invece ci ripieghiamo su noi stessi e sulle difficoltà della vita andiamo a fondo e gridiamo Signore salvami. Il grido di Pietro è anche il nostro. Non facciamo così anche noi con molte persone che ci sono prossime e  familiari e dalle quali ci attendiamo attenzione e cura?  Non t'importa di me ? Non ti importa  che io affoghi?". È questo il grido d'allarme di chi si sente abbandonato, tradito, di chi si sente forse non amato, di chi si sente di non contare agli occhi degli altri. Il fidarsi di Lui è l'elemento determinante per far si che la  nostra coppia possa avere uno slancio per cammina-re come Pietro, sulle acque agitate di ogni giorno.

Appena saliti sulla barca, il vento cessò…

La calma viene dopo aver fatto esperienza dell'ascolto del Signore, del camminare sulle acque con coraggio, dell'andare a fondo, invocare il suo nome ed essere salvati. Solo allora nella barca si può riconoscere il Signore e vivere di Lui. Quella barca dove si erano riuniti i discepoli e Gesù, è immagine della Chiesa. Per Gesù, per camminare con Lui, è importante salire sulla stessa barca, sentirsi parte della sua Chiesa, sperimentare la  comunione. Per noi sposi questo è un duplice invito: camminare insieme, mano nella mano, affidandoci alla grande mano del Signore da qui essere parte di una comunità più grande, essere sposi non per essere isolati ma per diventare membra di un corpo, il corpo della Chiesa. Solo così potremo anche noi prostrarci per esclamare: Tu sei veramente il Figlio di Dio.

Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui...

Lo stupore dei discepoli e la loro professione di fede “Tu sei veramente il Figlio di Dio” con cui si conclude l'episodio, sono comprensibili. Comandare alla furia del mare era considerato nell’antico Testamento come una prerogativa di Dio. I discepoli intravedono così che la potenza di Dio è nascosta in Gesù. Il vero miracolo ancora una volta non è solo lo “ straordinario” ma è quando riusciamo a ospitare il Signore nella nostra vita e, grazie a lui, a condurre la navigazione della nostra verso la sua meta. In fondo siamo animati da desideri  buoni che spesso noi stessi blocchiamo a motivo di paure innescano un circolo di sfiducia, sconforto e ripiegamento . Allora non sappiamo più vedere e ascoltare né i nostri cari ne la  Parola di Gesù, rimaniamo soli e agitati facendo forza solo sulle nostre deboli risorse Questo Vangelo ci indica la strada alternativa della fiducia in Gesù, dell'ascolto della sua Parola che sola è in grado di farci acquisire quella visione profonda delle cose capace di sostenerci fra le acque, anche le più agitate. Capaci di sostenerci nel dare credito e portare avanti quei desideri profondi che sanno orientare una vita adulta.

PARROCCHIA SACRA FAMIGLIA IN ROGOREDO

GRUPPO FAMIGLIE PARROCCHIALE  - 17 ottobre 2015   

Introduzione e I INCONTRO : Il desiderio del bene dell’altro : Mc 8,5-13

 

TESTO BIBLICO DI RIFERIMENTO : Il desiderio del Bene dell’altro

Dal Vangelo di Matteo (Mt 8,5-13)

'Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente».  Gli disse: «Verrò e lo guarirò». "Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu  entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. ''Pur essendo anch'io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: "Va'!", ed egli va; e a un altro: "Vieni!", ed egli viene; e al mio servo: "Fa' questo!", ed egli lo fa». '"Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! "Ora io vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va', avvenga per te come hai creduto». In quell'istante il suo servo fu guarito.

 

COMMENTO BIBLICO … per entrare nel testo

 v. 5-6 Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente».

Il racconto di Matteo è ambientato a Cafarnao, luogo di confine, di periferia, per usare un termine caro a Papa Francesco. Gesù entra in città con i suoi discepoli e gli viene incontro un centurione, un pagano, che lo informa sullo stato di grande sofferenza del proprio servo.

Il centurione è un ufficiale subalterno che sta a capo della guarnigione romana che presidia Cafarnao, città di confine. Il centurione non chiede nulla a Gesù, si limita a sottoporgli il caso, a esprimere la sua angoscia. Non è la religione a spingerlo ad avvicinarsi né il desiderio di Dio, bensì la sua forte preoccupazione, la terribile sofferenza del proprio servo e il timore per la sua salute. Il centurione riconosce Gesù come il Signore della vita ed è questo il primo gradino della fede, intuire che Lui può quello che a noi è impossibile.

 v.7 Gli disse: «Verrò e lo guarirò».

Gesù non ha preconcetti. Non esige nulla prima, accoglie e ascolta le parole dell'ufficiale romano e, senza esitare, decide di recarsi a casa sua. Gesù ha parlato precedentemente di sé esortando a un amore che va esteso pure al nemico, e ora mostra nella pratica il senso di ciò che aveva detto. Aveva infatti affermato: «avete inteso che fu detto: "amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico", ma io vi dico amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Mt 5, 43-44). Qui Gesù ha di fronte una persona da tutti considerata come nemica del popolo ebraico: un centurione romano invasore e usurpatore, un pagano. Ma il disegno d'amore di Dio che Gesù viene a rivelarci è universale, riguarda anche coloro che erano ritenuti gli esclusi per eccellenza dalla salvezza. Oltre a questo esempio di accoglienza e ascolto, Gesù offre un altro insegnamento: si dichiara disposto a entrare nella casa del pagano, persona considerata impura. Denuncia così implicitamente la cecità di una legislazione che vuole distinguere le persone in base al loro credo o all’appartenenza raziale.

v. 8-9 Ma il centurione rispose: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”.

La risposta di Gesù sorprende il centurione, che non si aspettava certo che Gesù si recasse a casa sua. Si sente 'non degno', ciò vuol dire che considerava Gesù una persona molto superiore. Il secondo gradino verso la fede, lo vediamo qui, è quello dell'umiltà, che però non rinuncia ad andare oltre il limite dando voce a un desiderio buono e profondo e avanzando una richiesta che può apparire 'esagerata': «Di' una sola parola e il mio servo sarà guarito». Il centurione crede che la parola di Gesù sia capace di guarire. Da dove gli nasce questa fede così grande? Sicuramente ha già sentito parlare molto di Gesù e si è fatto una propria idea, ma è decisiva la sua esperienza professionale di centurione. Perché quando un centurione dà ordini, il soldato ubbidisce. Deve ubbidire! Così immagina sia anche per Gesù, egli crede profondamente che la Sua parola racchiuda una forza creatrice. Ecco un ulteriore gradino della fede, credere nella Parola di Dio, avere una fiducia illimitata nella Sua efficacia, nel fatto che Dio mantiene le sue promesse, di vita, di salvezza, di liberazione dal male e dalla morte.

v. 10 Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Anche Gesù si meraviglia della risposta; la fede di quest'uomo sorprende anche il Signore! Che l'uomo creda è una bella sorpresa per Lui, è qualcosa che Lui non può 'produrre' senza di noi.

Quando usiamo della nostra libertà per credere in Lui, Dio dice: che bello! Così Gesù propone ai discepoli, tutti ebrei, la fede di questo pagano come modello. C'è sempre un rischio sottile in chi è o si presume  'religioso' : quello di 'fidarsi' della propria giustizia più che della benevolenza di Dio, della propria “bontà” più che della Sua grazia: questa non è fede, ne è piuttosto una caricatura che non si sostiene nella vita, non apre alla relazione profonda col Signore. L'estraneo, il pagano, l'uomo di di confine, sa spesso accorgersi con maggiore libertà ed evidenza  che tutto è grazia, tutto è dono. Così è stato per il padre Abramo, pagano anche lui, padre di Israele poiché ha avuto fiducia nella parola del Signore. Una fede come quella di Abramo - nota Gesù - è più presente in questo straniero che tra i suoi stessi figli.

 

v.11 Ora io vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli... Nel Regno dei cieli entrano solo quelli che hanno creduto alla parola, come Abramo, che vivono di fede e fiducia, a qualsiasi popolo appartengano.

E’ bello inoltre constatare che nel Regno dei cieli si sta a mensa, luogo tipico della vita familiare. E’ infatti la fiducia nel Padre, lo stare a mensa tra noi e con Lui che ci salva, non la nostra pretesa giustizia! E stare a mensa significa condividere il cibo, raccontarsi gli uni gli altri della propria vita, trascorrere amabilmente del tempo insieme rinvigorendo il corpo e gli affetti. Questo accade nel Regno dei cieli, dove conosceremo un di più di umanità, a tutti i livelli, grazie alla confidenza con il Signore e alla certezza che siamo salvati dal Suo amore infinito. 

v.12 ...mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti ".

Nel Regno dei cieli la nuova Legge di Dio proclamata da Gesù dall'alto della Montagna delle Beatitudini è una risposta ai desideri più profondi del cuore umano. I pagani sinceri e onesti come il centurione e tante altre persone venute da Oriente o da Occidente, percepiscono in Gesù la risposta alle loro attese più profonde e lo accolgono. Chi invece non crede all'amore del Padre è ancora avvolto nelle tenebre che sono fuori dalla luce dell'amore, dalla verità di se stessi e della vita. In quel luogo di lontananza dall'amore c'è pianto invece di gioia, stridore di denti invece del viso disteso in un sorriso: lì abitano la tristezza e la rabbia infinita di una vita chiusa nella solitudine e nell’ egoismo. Scriveva il filosofo Hegel: “l’Inferno per l’uomo consiste nella condanna a vivere per sempre soli con se stessi.”  Il messaggio di Gesù non è, in primo luogo, una dottrina o una morale, né un rito o un insieme di norme, ma un'esperienza profonda di Dio che risponde a ciò che il cuore umano desidera, in primo luogo al bisogno di non essere solo ma di essere “in relazione”

 v.13 E Gesù disse al centurione: « Va', avvenga per te come hai creduto».

In quell'istante il suo servo fu guarito. In queste parole riecheggiano quelle di Maria: Avvenga a me secondo la tua parola (Lc 1,38). Anche il centurione, come Maria, è prototipo del credente e per entrambi accade che la volontà del Signore corrisponda con ciò che anch’essi desiderano : il bene dell’altro .  La fede opera questa comunione di intenti tra l'uomo e Dio creando così l'istante esatto (l'ora – il Kairos ) in cui accadono la salvezza e la guarigione perché accade prima di tutto il miracolo dell’uscire da se stessi “per volere che l’altro sia” .

 

PER APPROFONDIRE LA RIFLESSIONE DI COPPIA…   

La famiglia è il luogo essenziale per generare il desiderio di apertura fiduciosa verso gli altri , verso le diversità, verso il bene e la responsabilità del  “ volere e del fare il bene degli altri “ .

Questo è il fondamentale compito di ogni famiglia e lo è ancor di più per la famiglia cristiana chiamata ad “educarsi al pensiero e allo stile di Cristo e del suo Vangelo” In una delle catechesi per l’anno del Sinodo,  Papa Francesco scrive : ” … Una caratteristica essenziale della famiglia, è la sua naturale vocazione a educare i figli perché crescano nella responsabilità di sé e degli altri. E citando l’Apostolo Paolo il Papa prosegue :  «Voi figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino” (Col 3, 20-21) . Questa è una regola sapiente: il figlio che è educato ad ascoltare i genitori e a obbedire ai genitori i quali non devono comandare in una maniera brutta, per non scoraggiare i figli. I figli, infatti, devono crescere senza scoraggiarsi, passo a passo. Se voi genitori dite ai figli: “Saliamo su quella scaletta” e prendete loro la mano e passo dopo passo li fate salire, le cose andranno bene. Ma se voi dite: “Vai su!” – “Ma non posso” – “Vai!”, questo si chiama esasperare i figli, chiedere ai figli le cose che non sono capaci di fare. Per questo, il rapporto tra genitori e figli deve essere di una saggezza, di un equilibrio tanto grande. Figli, obbedite ai genitori, ciò piace a Dio. E voi genitori, non esasperate i figli, chiedendogli cose che non possono fare. E questo bisogna fare perché i figli crescano nella responsabilità di sé e degli altri, nel desiderio di volere non solo il loro bene – magari il loro benessere materiale - ma anche e soprattutto il bene degli altri da cui il loro bene alla fine dipende inevitabilmente.    

Sembrerebbe una constatazione ovvia, eppure anche ai nostri tempi non mancano le difficoltà nell’ educare in questo senso . “E’ difficile educare per i genitori che vedono i figli solo la sera, quando ritornano a casa stanchi dal lavoro. Quelli che hanno la fortuna di avere lavoro! E’ ancora più difficile per i genitori separati, che sono appesantiti da questa loro condizione:  poverini, hanno avuto difficoltà, si sono separati e tante volte il figlio è preso come ostaggio e il papà gli parla male della mamma e la mamma gli parla male del papà, e si fa tanto male. Ma io dico ai genitori separati: mai, mai, mai prendere il figlio come ostaggio! Vi siete separati per tante difficoltà e motivi, la vita vi ha dato questa prova, ma i figli non siano quelli che portano il peso di questa separazione, non siano usati come ostaggi contro l’altro coniuge, crescano sentendo che la mamma parla bene del papà, benché non siano insieme, e che il papà parla bene della mamma. Per i genitori separati questo è molto importante e molto difficile, ma possono farlo”. Questo favorisce anche una sensibilità di comprensione dell’altro e non di giudizio che chiude e non da spazio. Viceversa si esalta, anche indirettamente, un modello che pone al centro se stessi e le proprie uniche ragioni usate contro l’altro o gli altri in forma di “ diritti violati ecc..”  

Importante allora è porsi la domanda :  come educare al desiderio del bene degli altri ? Quale tradizione buona  abbiamo oggi da trasmettere come cristiani ai nostri figli e alle nostre figlie?  Un esempio ce lo ha dato il racconto letto.  La famiglia è stata accusata in empi recenti d’essere , tra l’altro, luogo di autoritarismo, di favoritismo, di conformismo, di repressione affettiva che genera conflitti ecc... comportamenti che favoriscono più  chiusura che apertura di cuore e di mente.  Scrive il Papa : ” Di fatto, si è aperta una frattura tra famiglia e società, tra famiglia e scuola, il patto educativo oggi si è rotto; e così, l’alleanza educativa della società con la famiglia è entrata in crisi perché è stata minata la fiducia reciproca. I sintomi sono molti. Per esempio, nella scuola si sono intaccati i rapporti tra i genitori e gli insegnanti. A volte ci sono tensioni e sfiducia reciproca; e le conseguenze naturalmente ricadono sui figli. D’altro canto, si sono moltiplicati i cosiddetti “esperti”, che hanno occupato il ruolo dei genitori anche negli aspetti più intimi dell’educazione. Sulla vita affettiva, sulla personalità e lo sviluppo, sui diritti e sui doveri, gli “esperti” sanno tutto: obiettivi, motivazioni, tecniche. E i genitori devono solo ascoltare, imparare e adeguarsi. Privati del loro ruolo, essi diventano spesso eccessivamente apprensivi e possessivi nei confronti dei loro figli, fino a non correggerli mai: “Tu non puoi correggere il figlio”. Tendono ad affidarli sempre più agli “esperti”, anche per gli aspetti più delicati e personali della loro vita, mettendosi nell’angolo da soli; e così i genitori oggi corrono il rischio di autoescludersi dalla vita dei loro figli. E questo è gravissimo! Oggi ci sono casi di questo tipo. Non dico che accada sempre, ma ci sono. La maestra a scuola rimprovera il bambino e fa una nota ai genitori. Io ricordo un aneddoto personale. Una volta, quando ero in quarta elementare ho detto una brutta parola alla maestra e la maestra, una brava donna, ha fatto chiamare mia mamma. Lei è venuta il giorno dopo, hanno parlato fra loro e poi sono stato chiamato. E mia mamma davanti alla maestra mi ha spiegato che quello che io ho fatto era una cosa brutta, che non si doveva fare; ma la mamma lo ha fatto con tanta dolcezza e mi ha chiesto di chiedere perdono davanti a lei alla maestra. Io l’ho fatto e poi sono rimasto contento perché ho detto: è finita bene la storia. Ma quello era il primo capitolo! Quando sono tornato a casa, incominciò il secondo capitolo… Immaginatevi voi, oggi, se la maestra fa una cosa del genere, il giorno dopo si trova i due genitori o uno dei due a rimproverarla, perché gli “esperti” dicono che i bambini non si devono rimproverare così. Si sono cambiate le cose “!... Ma  i genitori non devono  autoescludersi dall’educazione dei figli, soprattutto dall’educarli a riconoscere i propri sbagli ed errori perché questo è essenziale per educarli alla responsabilità verso se stessi e verso gli altri ma anche verso il mondo. 

Conclude il Papa : “ Le comunità cristiane sono chiamate ad offrire sostegno alla missione educativa delle famiglie, e lo fanno anzitutto con la luce della Parola di Dio. L’apostolo Paolo ricorda la reciprocità dei doveri tra genitori e figli: «Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino» (Col 3,20-21). Alla base di tutto c’è l’amore, quello che Dio ci dona, un amore che ha delle caratteristiche ben precise : «non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, … tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13,5-6). Questa è la forma dell’amore che genera il desiderio del bene degli altri così come ci ha  testimoniato Gesù con la sua vita .

Anche nelle migliori famiglie bisogna sopportarsi, e ci vuole tanta pazienza per sopportarsi! Ma è così la vita. La vita non si fa in laboratorio, si fa nella realtà. Lo stesso Gesù è passato attraverso l’educazione familiare e forse proprio lì ha imparato a “ curare, perdonare, accogliere…  Anche in questo caso, la grazia dell’amore di Cristo porta a compimento ciò che è inscritto nella natura umana. Quanti esempi stupendi abbiamo di genitori cristiani pieni di saggezza umana! Essi mostrano che la buona educazione familiare è la colonna vertebrale dell’umanesimo. La sua irradiazione sociale è la risorsa che consente di compensare le lacune, le ferite, i vuoti di paternità e maternità che toccano i figli meno fortunati. Questa irradiazione può fare autentici miracoli. E nella Chiesa succedono ogni giorno questi miracoli, come accadeva ai tempi di Gesù…

Buon lavoro a tutti … per la vita

  

 

PARROCCHIA SACRA FAMIGLIA IN ROGOREDO

GRUPPO FAMIGLIE PARROCCHIALE  - 17 ottobre 2015   

Presentazione della proposta  tematica 2015-16

Ben ritrovati dopo la pausa estiva. Abbiamo già  vissuto  alcune belle e simpatiche occasioni di incontro come gruppo famiglie e come comunità tutta in questo primo mese di ripresa delle attività della parrocchia. Ora vi trasmettiamo i testi utili per la preparazione di coppia al I incontro, accompagnati dall’introduzione che motiva la scelta del tema fatta dall’ Equipe e seguiti dal calendario riepilogativo  delle occasioni offerte o degli impegni  a cui il gruppo e le singole coppie sono chiamati durante questo anno pastorale . A tutti i a ciascuno auguriamo ancora una volta un fruttuoso cammino coscienti dei nostri limiti ma anche certi di essere depositari dell’ immenso dono che è l’essere “ famiglie in cammino insieme “. 

Riprendo qui brevemente quel che ho già scritto a tutta la comunità introducendo il nuovo anno pastorale, un anno intenso e ricco di occasioni di crescita umana e spirituale.

In particolare :

La conclusione dell’ anno centenario e assemblea parrocchiale del 3 ottobre

La visita del cardinale l’8 novembre

Il Sinodo sulla famiglia

L’ Anno Santo della Misericordia.

 

  • Anno pastorale e Giubileo

Come già scrivevo, a partire dal grande Giubileo della Misericordia che ci propone Papa Francesco per il 2016 e dal richiamo del nostro Arcivescovo a dar vita ad un nuovo “umanesimo” che renda più vivibile l’esistenza a Milano e in occidente,  umanesimo che si concretizza  in uno sguardo particolare sull’uomo e sulla vita , sulla qualità delle relazioni con noi stessi , con gli altri   con il creato e con Dio,  siamo tutti  invitati a fissare ancora una volta la nostra attenzione su quel “pensiero di Cristo“ che il Vangelo ci comunica,  Vangelo al cui centro e cuore vi è la rivelazione del volto misericordioso del Padre rivelataci proprio da Gesù.

Scrive al proposito Papa Francesco: “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come «Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura divina. Nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio. Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato. Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre….”

In comunione con la chiesa universale e diocesana, anche la nostra parrocchia e in essa il nostro gruppo famiglie,  si metterà alla ricerca della misericordia di Dio,  per poter  stabilire relazioni “misericordiose tra i suoi membri“, relazioni più pazienti, più umane, meno cariche di contrapposizioni sterili e inutili gelosie o nostalgie paralizzanti, relazioni capaci di educare le nuove generazioni alla vita buona del Vangelo di Gesù, al pensiero di Cristo che prima di tutto e soprattutto è  appunto “pensiero di amore e di misericordia“,  di accoglienza per ogni uomo o donna  ferito dalla vita, ma che ancora cerca e continua a cercare - anche grazie a questa nostra comunità - il volto di Dio con cuore sincero. 

  • Tema e modalità della proposta formativa: Sette Miracoli per la famiglia 

Da sempre un grande segno della cura e dell’amore  misericordioso del Signore per la vita degli uomini sono stati i cosiddetti “ miracoli “ narrati dai Vangeli . “Parabole e miracoli, parole e opere con cui Gesù mostrò la sua potenza nell'amore, lo stesso amore del Padre suo e nostro. Dopo le "cinque" parabole dello scorso anno ecco allora  "sette" miracoli che accompagneranno il cammino del nostro  gruppo familiare per imparare a vedere, sentire e gustare i segni della sua “ Misericordia che salva “ nella nostra vita quotidiana. Il  Regno di Dio infatti  si presente proprio così, nelle pieghe dei nostri giorni, e le allarga dolcemente e le trasforma in piccole oasi  in cui il bene infinito si fa ristoro e  nutrimento per le nostra vita, quella dei nostri cari, della nostra comunità, della Chiesa, di tutta l'umanità. Miracoli di bene, miracoli fatti di piccole cose dal grande valore,  di cui fare tesoro, bisogni soddisfatti che generano fede, speranza, carità... tutto il bene possibile in un frammento di vita umana, questo è il Regno di Dio che i miracoli rendono presente nella storia “ .

Il metodo dell’ incontro è quello della "lectio” fatta a casa dalla coppia, brevemente riproposta da me con qualche approfondimento ripreso anche dalle catechesi di Papa Francesco per l’anno sinodale sulla famiglia,  ma soprattutto “ restituita” in forma di “racconto d’esperienza” dalla coppia o dalle coppie  che proporrà/anno l’attualizzazione “… nella speranza di trovare coppie in numero sufficiente …

 Ecco di seguito le date e i temi che affronteremo insieme a partire da alcuni racconti di miracoli evangelici:

 

17 ottobre:            I incontro di gruppo:       Il desiderio del Bene dell’altro

14 novembre:         II incontro di gruppo:       Il desiderio bloccato

20 febbraio:          III incontro di gruppo:       Il desiderio di camminare

12 marzo:             IV incontro di gruppo:        Il desiderio di umanità

09 aprile:             V incontro di gruppo:       Il desiderio di essere saziati

 

Occasioni e impegni del gruppo famiglie per il 2015-16

Visitatori  famiglie dei Battezzandi

Giovedì                        10/11/15          ore 21.00  incontro inizio anno ( II CONVOCAZIONE ! )           

N.B. Urge qualche coppia in più che si renda disponibile per questo servizio prezioso…

“I battesimi sono tanti ma le coppie poche “… 

Corso fidanzati

venerdì                        08/1/16           ore 21.00  introduzione

domenica                     10/1/16            ore 9.00

domenica                     17/1/16            ore 9.00

domenica                     24/1/16           ore 9.00

sabato                         30/1/15           ore 16.00  con Gruppo famiglie  e cena  condivisa

domenica                     07/2/16           ore 9.00

domenica                     14/2/16           ore 9.00

domenica                     21/2/16           ore 9.00

sabato                         27/2/16          ore 19.30 con cena finale e consegna attestati  

Equipe corso fidanzati

venerdì                        10 dicembre     preparazione remota

mercoledì                    04 gennaio       preparazione prossima

martedì                        01 marzo          verifica fine corso

 

Equipe Gruppi Famiglie

11 Settembre               (di Inizio anno)

25 settembre               (per ottobre)

22 ottobre                   (per novembre  e uscita dicembre)

19 novembre                (incontro di gennaio con i fidanzati / festa fam / giornata vita ecc…)                                   

14 gennaio                   (Ultime per festa famiglia e incontro di per febbraio)

04 febbraio                             (per marzo)                            

10 marzo                      (per aprile)           

7  aprile                       (per maggio e uscita giugno)

23 giugno                     (EQUIPE FINALE Verifica/programmazione)