Liturgia e Vita 

Il quotidiano alla luce del sacramento

 

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Testo dell'intervento

Introduzione di Silvio Restelli

L'incontro di questa sera con S.E. mons. Martinelli sul rapporto tra la liturgia e la vita quotidiana si pone in continuità con il lavoro proposto in questi anni teso a riprendere la nostra riflessione sulla dimensione culturale della fede. Già san Paolo VI quando era ancora arcivescovo di Milano aveva individuato il nesso tra fede e cultura come base per l'evangelizzazione della società milanese in prima linea sia per la ricostruzione post-bellica (miracolo economico) sia per l'avvio del processo di secolarizzazione che proseguirà a passi forzati nei seguenti decenni. Gli incontri programmati (quello di stasera e quello con Russia Cristiana del prossimo 8 Febbraio) richiamano la nostra attenzione al punto di origine di una ripresa cristiana della dimensione culturale: la partecipazione alla liturgia e ai sacramenti.

Quella che viviamo è una società capace di proporci e di farci vivere un'esperienza umana caratterizzata dalla negazione (nichilismo) o dalla sospensione (agnosticismo) della questione di Dio come fondamento e spiegazione della realtà. Vivere la fede in Gesù oggi significa perciò nuotare contro corrente, capaci di testimoniare quella nuova umanità che la sua croce e risurrezione rende possibile. Ma dove attingere la forza necessaria per questo difficile cammino? Benedetto XVI nella giornata mondiale della Gioventù del 2005 nella spianata di Marienfield aveva indicato con forza l'eucaristia, come fissione nucleare nel cuore dell'essere.

"Già da sempre tutti gli uomini in qualche modo aspettano nel loro cuore un cambiamento, una trasformazione del mondo. Ora questo (l'eucaristia) è l'atto centrale di trasformazione che solo è in grado di rinnovare veramente il mondo: la violenza si trasforma in amore e quindi la morte in vita. Poiché questo atto tramuta la morte in amore, la morte come tale è già dal suo interno superata, è già presente in essa la risurrezione. La morte è, per così dire, intimamente ferita, così che non può più essere lei l'ultima parola. È questa, per usare un'immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell'essere - la vittoria dell'amore sull'odio, la vittoria dell'amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo. Tutti gli altri cambiamenti rimangono superficiali e non salvano. Per questo parliamo di redenzione: quello che dal più intimo era necessario è avvenuto, e noi possiamo entrare in questo dinamismo. Gesù può distribuire il suo Corpo, perché realmente dona se stesso".

Anche il nostro Arcivescovo nella sua lettera per il tempo di Avvento "Corro verso la meta" pone l'accento sulla diversità antropologica del cristiano, parlando di differenza tra aspettativa e speranza.  A pagina 6 e 7 usa queste parole

"L'orientamento al futuro è una dimensione irrinunciabile del vivere.

C'è però differenza tra vivere di aspettative e vivere di speranza. L'aspettativa è frutto di una previsione, programmazione, di progetti: è costruita sulla valutazione delle risorse disponibili e sull'interpretazione di quello che è desiderabile.

L'aspettativa spinge avanti lo sguardo con cautela per non guardare troppo oltre, circoscrive l'orizzonte a quello che si può calcolare e controllare. Infatti guardando troppo oltre si incontrano le domande ultime e inquietanti e l'esito al quale è meglio non pensare, cioè la morte.

La speranza è la risposta alla promessa, nasce dall'accogliere la parola che viene da Dio e chiama alla vita, alla vita eterna. È fondata sulla fede, cioè sulla relazione con Dio che si è rivelato nel suo figlio Gesù come Padre misericordioso e ha reso possibile partecipare alla sua vita con il dono dello spirito Santo. Non sono le risorse e i desideri umani a delineare che cosa sia sensato sperare, ma la promessa di Dio. Lo sguardo può spingersi avanti, avanti, fino alla fine, perché l'esito della vita non è la morte, ma la gloria, la comunione perfetta e felice nella Santissima Trinità."

Sperando di diventare sempre più capaci di vivere secondo il "pensiero di Cristo", diamo perciò la parola a mons. Martinelli ringraziandolo moltissimo per avere accettato di avviare la nostra riflessione.

Testo dell'intervento