Seconda settimana 

a cura di Don Ligi Galli

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L’intemperanza prende allora il sopravvento, conducendo a uno stile di vita che vìola i limiti che la nostra condizione umana e la natura ci chiedono di rispettare, seguendo quei desideri incontrollati che nel libro della Sapienza vengono attribuiti agli empi, ovvero a coloro che non hanno Dio come punto di riferimento delle loro azioni, né una speranza per il futuro (cfr 2,1-11).

 
Riprendo questo testo dopo il ‘saluto alla primavera’ di ieri. E’ un testo che, nella sua apparente semplicità, contiene non pochi punti che vanno attentamente meditati.
Ne sottolineo due.
  1. L’intemperanza che viola i limiti della natura. Parlare, oggi, di limiti della natura da rispettare è molto difficile. Assistiamo ad un paradosso: da una parte i limiti umani sono più evidenti che in passato e dall’altra il potere che la scienza consegna nelle mani dell’uomo è tale che ci si sente senza limiti. Eliminato il Creatore dall’orizzonte di senso resta solo la libertà umana senza limiti. La stessa morale ha subito un radicale cambiamento di direzione: ciò che è tecnicamente possibile è percepito immediatamente come eticamente buono e praticabile. C’è un paradosso ancora più strano: ciò che prima segnava il limite da rispettare nei confronti degli umani, oggi è trasferito agli animali; si rispettano di più i ‘diritti degli animali’ rispetto a quelli degli uomini. E’ un panorama imbarazzante.  Nel nostro testo si vede nell’intemperanza la causa di tutto ciò.
L’alternativa all’intemperanza come stile di vita è solo la sobrietà, cioè saper riconoscere i limiti e i confini che rendono possibile e umana la libertà.  La riflessione sul proprio stile di vita (esattamente perché è ‘proprio’) è un impegno quaresimale di ciascuno. E’ necessario uscire dall’astrattezza e capire che all’affermazione dei principi deve seguire la scelta di ‘segni’ concreti, uscendo da ogni forma di ipocrisia.
Gli esempi sono infiniti: uso delle risorse, accoglienza degli ultimi, crisi economica, comportamenti pubblici, uso dei mezzi di comunicazione, aiuto ai vicini di casa, ospitalità……….
 
  1. ‘…coloro che non hanno Dio come punto di riferimento delle loro azioni’. Questa affermazione ci colpisce. Ci sembra inaccettabile che solo i credenti possono essere ‘giusti’. Più ancora: ci sembra non conforme alla realtà dell’esperienza quotidiana pensare che non credere in Dio sia una empietà che genera stili di vita disumani.  E’ chiaro che il testo non vuole giungere a queste conclusioni ed allora va interpretato.
Credo che si possono fare due osservazioni: la prima riguarda il comportamento dei credenti.
Io vedo nelle parole del Papa un richiamo a prendere molto più sul serio, di quanto i credenti fanno, il riferimento a Dio; la fede in Dio è davvero la radice e il fondamento che ‘tiene insieme’ tutte le azioni di un cristiano. Non è più rimandabile la scelta di radicare la vita cristiana nella Parola di Dio; prima di ogni scelta debbo chiedermi cosa dice la Parola, che è come chiedersi ‘cosa farebbe Gesù al mio posto’. In questo contesto prende corpo anche un’attenzione più seria e concreta alla vita della Chiesa, a ciò che dicono gli altri cristiani, ai modelli di vita che ci propongono i santi della quotidianità, alla fatica di cercare insieme alle sorelle e ai fratelli soluzioni sensate ed evangelicamente compatibili ai problemi che la società ci mette davanti ogni giorno…. L’altra osservazione riguarda ‘coloro che vivono senza Dio’. Qui bisogna distinguere con chiarezza il giudizio morale sulle persone dalla ricerca continua della Verità. C’è un dato oggettivo: Dio è l’unico fondamento che è in grado di dare senso compiuto all’umano. La ricerca del bene e la forza nel praticarlo è ragionevolmente sostenibile solo avendo un orizzonte infinito. Questo è il paradosso dell’esistenza umana: per vivere da donne e uomini felici è necessario andare oltre l’umano. Con una felice espressione si usa dire che l’uomo è un promontorio finito che è esposto sull’infinito. Questa testimonianza di ‘esposizione all’infinito’ ci viene data proprio da coloro che ‘vivono senza Dio’.  La loro testimonianza di umanità è preziosa e i credenti debbono saperla apprezzare, condividere ed accompagnare verso una ricerca che allarga sempre più gli orizzonti. Per i credenti la condizione essenziale è che siano, insieme, fieri e umili nella propria fede.
Si assiste a volte a tristi spettacoli: da una parte la fierezza viene vista non come riconoscenza di un dono ( la fede) non meritato, ma come una ‘spada da impugnare’ per far guerra a qualcuno, dall’altra la mancanza di umiltà fa sì che, paradossalmente, i credenti (soprattutto gli ‘intellettuali’) si ‘nascondono’ davanti ai non credenti e interpretano il dialogo non come possibilità di ascolto serio e reciproco ma come assuefazione e condiscendenza che toglie quell’aspetto essenziale della fede che è il martirio.