Seconda settimana di Quaresima. Giovedì 21 marzo 2019. E’ iniziata la primavera!

a cura di Don Ligi Galli

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L’intemperanza prende allora il sopravvento, conducendo a uno stile di vita che vìola i limiti che la nostra condizione umana e la natura ci chiedono di rispettare, seguendo quei desideri incontrollati che nel libro della Sapienza vengono attribuiti agli empi, ovvero a coloro che non hanno Dio come punto di riferimento delle loro azioni, né una speranza per il futuro (cfr 2,1-11).

Il testo di oggi è impegnativo perché ci offre una sapienza che non è di questo mondo e che va spiegata bene. Lo riprenderemo con calma domani. Oggi ho pensato di fermarci su qualche testo che ci aiuti a meditare sul creato. In linea con quanto stiamo meditando in questa Quaresima, vorrei sottolineare che da qualche ora l’inverno è finito e la nostra terra si risveglia dal letargo con una vitalità commovente e sorprendente. Eppure potrebbe essere che non ce accorgiamo neppure. In pochi giorni il panorama cambia: c’è più luce, sbocciano colori che quasi avevamo dimenticato; forse, correndo al lavoro, non ci fermiamo neppure a guardare da vicino i fiori che, pur nel cuore delle città, sbocciano in ogni angolo.

Ecco alcuni testi su cui riflettere.

Il primo testo è il brano del libro della Sapienza citato dal Papa.

1 Dicono (gli empi) fra loro sragionando: «La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dal regno dei morti. 2Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati:   è un fumo il soffio delle nostre narici, il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore, 3spenta la quale, il corpo diventerà cenere e lo spirito svanirà come aria sottile.

4Il nostro nome cadrà, con il tempo, nell'oblio e nessuno ricorderà le nostre opere. La nostra vita passerà come traccia di nuvola, si dissolverà come nebbia messa in fuga dai raggi del sol ee abbattuta dal suo calore.

5Passaggio di un'ombra è infatti la nostra esistenza e non c'è ritorno quando viene la nostra fine, poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro.

6Venite dunque e godiamo dei beni presenti, gustiamo delle creature come nel tempo della giovinezza!

7Saziamoci di vino pregiato e di profumi, non ci sfugga alcun fiore di primavera,

8coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano; 9nessuno di noi sia escluso dalle nostre dissolutezze.

Lasciamo dappertutto i segni del nostro piacere, perché questo ci spetta, questa è la nostra parte.

10Spadroneggiamo sul giusto, che è povero, non risparmiamo le vedove, né abbiamo rispetto per la canizie di un vecchio attempato.

11La nostra forza sia legge della giustizia, perché la debolezza risulta inutile’. (Sap. 2,1-11)

 

Il secondo testo è la poesia del Cantico dei Cantici che vede l’incontro con l’amata inserito nell’incanto della primavera. Lo si può leggere anche come allegoria dell’incontro con l’amore di Dio.

8 Una voce! L'amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline.

9 L'amato mio somiglia a una gazzella o ad un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia dalle inferriate.

10 Ora l'amato mio prende a dirmi: «Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!

11 Perché, ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata;

12i  fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna.

13 Il fico sta maturando i primi frutti e le viti in fiore spandono profumo. Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto! 14O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole». (Cant. 2, 8-14).

Il terzo brano è un testo di S.Massimo di Torino. E’ il primo vescovo di Torino di cui si ha notizia, si conosce la data della morte 420. E’ conosciuto anche come S.Massimo il Confessore, Padre della Chiesa venerato in Occidente come in Oriente.  Ho lasciato il brano nella sua interezza; alcune espressioni vanno contestualizzate, ma non è difficile trovare in queste poche righe, una lettura simbolica della primavera; può essere un modo per rileggere e vivere la nostra vita nella creato: Il linguaggio del simbolo e della poesia attingono ad un aspetto della realtà che, pur essendo sotto i nostri occhi, spesso non vediamo.

Osserviamo che il Signore ha voluto che tutto il creato fosse in crescita quasi in virtù di questa santa pratica! Indetta, infatti la Quaresima, si rammollisce la terra e la rigidità dal gelo dell'inverno, e i fiumi dai ghiacci liquefatti ricevono le acque; così in questo tempo, sono assolti i peccati accumulati dalle iniquità dei nostri corpi, e più puro il corso della nostra vita, sciolto il diabolico rigore, ritrova la sua corrente primitiva.

La terra, dunque, indetta la Quaresima, depone l’asperità invernale, ed io rigetto quella dei miei peccati; la terra fuori è smossa dagli aratri per essere preparata alle sementi terrene, la mia terra è solcata dai digiuni per essere aperta ai semi celesti.  Nel tempo di digiuno le verzure dei seminati germogliano per la messe, il rampollo dell'albero preme e si dilata nell’arbusto, il tralcio della vite si gonfia nella gemma, tutto è un fermentare dal basso verso l'alto; così, in questo stesso tempo, la speranza illanguidita rinverdisce per l'avvenire, la fede smarrita si rinnova per la gloria, la vita temporale avanza a quella eterna, e tutta l'umanità, protesa verso i cieli, si solleva su, dagli inferi alle altezze. Ora il contadino pota con le cesoie i sarmenti delle vigne, come il vescovo strappa con l’evangelo le sozzure degli uomini: é il lavoro di tutte le creature in questo tempo quaresimale per giungere, senza ingombri adorne e nitide, alla Pasqua.

Ora ognuna è in gestazione, per portare frutto quando la spina contro la sua natura mette fuori la rosa, il gambo risplende del suo giglio, e gli aridi virgulti emanano dolcezza: così tutte le cose si adornano di fiori quasi a celebrare esse stesse, con il loro nitore, la festività del grande giorno. Anche noi, dunque, in questo tempo di digiuno facciamo spuntare le rose sopra le nostre spine, ossia giustizia dai nostri peccati, misericordia dalla severità, generosità dall'avarizia. Col digiuno infatti la libidine produce castimonia, la superbia genera umiltà, l'ebrezza temperanza. Questi sono i fiori della nostra vita, che olezzano soavemente a Cristo, che spirano il gradito odore a Dio. Il Signore ci ha donato la Quaresima, perché in questo tempo, su l'esempio di tutte le creature, concepiamo i semi della virtù, per produrre nel giorno della Pasqua i frutti di giustizia.