Questa volta non ricorrendo al giù visto verbo «abitare/dimorare», bensì ad una celebre pagina della Genesi. Replicando alla professione di fede di Natanaele — «Rabbì, Tu sei il Figlio di Dio, Tu sei il re d'Israele!» Gesù afferma: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste! [...] In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo» (Gv 1,49-51). Queste parole sono particolarmente importanti, poiché, nel vangelo di Giovanni, sono le prime pronunciate da Gesù riguardo a sé stesso. Con chiaro rinvio al sogno di Giacobbe (Gen 28,10-19), «il Figlio dell'uomo» parla di sé stesso come di quel “luogo” dove gli angeli di Dio salgono e scendono. Non è un caso che quel luogo sia chiamato Betel dal patriarca Giacobbe, ossia «Casa di Dio» (Gen 28,17). Per prima cosa il Figlio dell'uomo dice di sé di essere “la casa di Dio”. Ecco una importante affermazione circa la sua vera identità: egli, Gesù di Nazareth, è “Bet-el cioè casa di Dio”. Dicendo questo di se stesso, fin dall'inizio della sua missione il Signore Gesù rivela qualcosa di se in relazione al Padre: "Il Verbo di Dio “prendendo casa” nella vicenda del Figlio dell'uomo/Gesù, mostra tutta la sua fiducia nei riguardi della fragile condizione umana di Gesù stesso, stringendo con essa legami stabili, familiari, abituali e identificanti, tipici di chi si sente a casa; sicché non solo Gesù si fida del Padre come della sua propria dimora, ma anche il Padre si affida al Figlio come ci si consegna alle mura domestiche; così pure: non solo il Figlio si identifica abitando nel Padre, ma anche il Padre si identifica trovando casa nel Figlio”. L'azione di abitare l'uno nell'altro, del dimorare il Padre nel Figlio e il Figlio nel Padre, si ritrova bene espressa in quelle che gli esperti chiamano, con termini un po’ impegnativi, le “formule di immanenza reciproca”, che si riconoscono perché sono sempre introdotte dall’espressione “essere in” e molto ricorrenti in Giovanni: «il Padre è in me e io nel Padre» (Gv 10,38;14,10-11.38)25
Facendo allora il punto della nostra riflessione possiamo dire che sono tre i luoghi Tre, il luoghi evangelici dove poter riconoscere l'identità di Gesù nel suo venire tra noi. La prima è data dallo stile con cui il Signore sta al mondo, percependolo come casa affidabile, giacché vi scorge l'opera di Colui che fin dal principio l’ha edifica. La seconda consiste nei luoghi dove Gesù dimora, vale a dire iI mondo e il Padre, in maniera tale che il suo abitare nel mondo ci mostra il suo originale modo di essere Figlio come di uno che nel mondo si trova a “Casa Sua” nonostante tutto. La terza risulta non tanto dall'abitare di Gesù, quanto dal suo essere abitato dal Padre. La stretta connessione con l'identità filiale (il Figlio dell'uomo è Betel; Gv 1,51) fornisce la prospettiva da cui guardare l'essere “abitato” che caratterizza Gesù. «Figlio» significa innanzitutto aver ricevuto la vita, prima di poterla volere, aver avuto al vita in dono prima di averla in qualsiasi modo chiesta. Se per Gesù questo fatto sarà vissuto in costante positiva ricerca del suo lato migliore, così non è stato e non è per tanti uomini e donne nella storia umana.
Infatti anticipando la libertà di chi la riceve, la vita è per certi versi avvertita come qualcosa di imposto e quindi “ un po’ sofferto”, come del resto la nascita, il corpo, il nome, gli affetti, la lingua, i genitori, i fratelli...Te li trovi , non li scegli... Ciascuno è “abitato” originariamente da questi aspetti della vita che lo precedono e senza i quali non potrebbe esistere ma che, tuttavia, non sono il frutto di proprie scelte, anzi sono appunto “patiti” nel senso di sopportati e, in alcuni momenti, magari percepiti come ospiti importuni e fastidiosi, addirittura insopportabili (si pensi ai disagi legati ad un corpo che uno non accetta per es.) A motivo di questa “passività originaria”, la vita risulta essere una realtà un po’ ambivalente, che porta con se sia i tratti del dono stupendo, sia quelli un po’ meno accattivanti dell'imposizione, come fosse “un invito che si è costretti ad accettare”...
Tutto ciò vale anche per il Logos che, venendo ad abitare il mondo, ha ricevuto — come tutti — un corpo preparato da altri come ricorda la lettera agli ebrei :”Un corpo mi hai dato” (cf. Eb 10,5). “Affermando di essere la casa del Padre, Gesù ravvisa in ciò di cui è abitato la presenza attendibile e abituale che lo fa vivere . Riconoscendo i tratti paterni in ciò da cui è abitato, egli si identifica come
Figlio e rivela la bontà della vita , sciogliendone una volta per tutte l'ambivalenza” . Insomma: essere «casa del Padre» significa acconsentire ad essere Figlio. Questo modo di esistere di Gesù da Figlio possiamo chiamarlo “ la santità ospitale del Signore Gesù.
Essa trova la propria ragion d'essere nell'identità filiale di Gesù: egli è innanzitutto ospite del Padre. L'espressione va intesa alla luce del duplice senso della parola «ospite» che indica sia chi accoglie sia chi è accolto: “Gesù ospita il Padre in quanto è ospitato da Lui. Essere ospite del Padre rende Gesù capace di ospitare il mondo, abitandolo come nessun altro, perfino in una burrasca sul lago, ovvero quando il mondo «non lo riconosce» o lo rifiuta (Gv 1,10-11); egli infatti si sente sempre a casa sua. Quanto più si è abitati dal Padre tanto più si è capaci di abitare il mondo. Tanto più si è abitati dal male (o si considera male ciò di cui si è abitati) tanto meno si è in grado di vivere a casa. «Sentirsi a casa sempre» — perfino in una situazione mortale — è allora la caratteristica incomparabile di Gesù-Figlio. Potremmo dire che: «Mai un uomo ha abitato il mondo come la ha abito quest'uomo di nome Gesù di Nazareth!» (cf. Gv 7,46). Come suoi fratelli e discepoli per poter abitare il mondo a nostra volta non sentendone solo l’estraneità o l’imposizione ma riconoscendolo come dono e casa per la vita siamo chiamati tutti a metterci alla scuola di questo “Uomo” originale che ci ha ricordato e ci ricorda costantemente come Dio ha amato il mondo di un amore incommensurabile, tanto da “mandare a noi il Suo Figlio” perché “chi vede il Figlio veda il Padre e quindi “veda, tocchi, sperimenti, questo TANTO dell’AMORE che alla fine è il vincente su ogni POCO della storia...
( da C. Pagazzi riletto a cura di don Marco )
CONCERTO DI NATALE 2018
L’Associazione “Rogoredo Musica” - Milano in collaborazione con la Parrocchia “Sacra Famiglia” con il contributo del Municipio 4 presenta :
OMAGGIO MOZART
“I FIATI DI MILANO”
Diretti dal Maestro Francesco GIOIA
15 dicembre 2017, ore 21.00
Presso la Parrocchia “Sacra Famiglia”
Via Monte Peralba, 15 - Milano
"Questo evento è organizzato dall’associazione “Rogoredo Musica” Milano in collaborazione con la Parrocchia “Sacra Famiglia”. Rientra nelle manifestazioni, promosse dal Municipio 4, e mira a promuovere l'incontro tra le nostre "periferie " culturalmente vive e attive ed un pubblico di respiro internazionale.
W A. MOZART
Serenata n. 12 in do minore "Nachtmusik" per fiati, K1 388
Allegro (do minore)
Andante (mi bemolle maggiore)
Menuetto in canone con trio (do minore)
Allegro (do minore)
Serenata per fiati n. 11 in mi bemolle maggiore, K 375
Allegro maestoso (mi bemolle maggiore)
Minuetto I e trio (mi bemolle maggiore)
Adagio (mi bemolle maggiore)
Minuetto II e trio (mi bemolle maggiore)
Allegro (mi bemolle maggiore)
Oboe: Silvano SCANZIANI, Claudio BALLETTI
Clarinetti: Raffaele BERTOLINI, Valerio CIPOLLONE
Fagotti: Cecilia MEDI, Danilo ZAFFERONI
Corni: Andrea BRUNATI, Elisa GIOVANGRANDI